Gabriella Grosso

Gabriella Grosso

gabriella grosso

UNI TRE BOGLIASCO Briciole di Scienza dal 2007 ad OGGI

"ANIMA MUNDI" da Oriente a Occidente fratellanza, condivisione, amore

  




 



(Gabriella)

Forse vi chiederete perché l’insegnante di Briciole di Scienza viene a parlare di Anima del Mondo. Ho sempre avuto un rapporto particolare, un pò feticistico con le cose, notato e testimoniato dai miei figli e da ex alunni incontrati in età adulta. Un articolo di filosofia sull’Anima Mundi tenuta dal prof. Graham Parkes (https://www.academia.edu/115445013/Befriending_Things_on_a_Field_of_Energies_with_D%C5%8Dgen_and_Nietzsche)   mi ha fatto rivedere la relazione con le cose in modo più ricco e consapevole e la qualità del mio rapporto col mondo esterno è migliorato. Ho pensato di proporre a Giorgio di preparare insieme questa cosa al fine di condividere con voi le recenti conquiste. 

L'uomo moderno, pur coadiuvato da una tecnologia che lo aiuta nella risoluzione dei problemi, gli allunga la vita e gli porge svariati mezzi per accrescere il suo benessere, si ritrova spesso insoddisfatto. L'uomo moderno si è chiuso, si è isolato, ma basta osservare culture meno sofisticate e subito notare che la condivisione e la collaborazione svolgono ruoli chiave. Può essere utile ripercorrere, seppure rapidamente, una storia che dura dagli albori dell’umanità e che riguarda la interconnessione tra tutti gli elementi della natura, incluso l’uomo. Si tratta della concezione filosofico/religiosa di Anima Mundi. Apparentemente le cose che vi diremo potranno sembrare difficili o noiose, ma il nostro scopo è di raccontarvi come soprattutto l’Oriente sia riuscito a mantenere il rapporto, tra l’uomo e le cose, vivo e facile e quindi fruttuoso.



  

L’Oriente per raggiungere questo risultato ha percorso un cammino intellettualmente non semplice, ma di sicuro effetto che proveremo a ripercorrere con voi.


(Giorgio)

Anima Mundi è un termine filosofico usato dai platonici per indicare la vitalità della natura nella sua totalità, assimilata a un unico organismo vivente. Rappresenta il principio unificante da cui prendono forma i singoli organismi, i quali, pur articolandosi e differenziandosi ognuno secondo le proprie specificità individuali, risultano legati da una tale comune anima universale. Questa concezione nata ai primordi dell’umanità, pur essendo di origine essenzialmente orientale, fu un tratto caratteristico del paganesimo o delle religioni animiste, secondo cui ogni realtà, anche apparentemente inanimata, contiene una presenza spirituale collegata all'anima del tutto. Nel politeismo le divinità erano proprio espressioni personificate di queste forze o energie della natura, e concepite ad essa immanenti. L’anima mundi si ritrova poi essenzialmente nelle più svariate espressioni del misticismo. 


(Gabriella) 

Il rapporto fra il pensiero filosofico e la religione è sempre stato molto stretto in tutte le parti del mondo, al punto da alimentarsi a vicenda e talvolta confondersi l’un l’altra. Addentrarsi in questo campo è assai imprudente e difficile. Ci limiteremo quindi a qualche accenno necessario per sviluppare il tema che ci siamo proposti oggi, senza azzardare approfondimenti. Concentreremo quindi la nostra attenzione a raccogliere le influenze che le religioni e il pensiero filosofico hanno avuto nel valutare, studiare, influenzare il rapporto fra l’uomo e le cose che lo circondano. 

  

    


Nell'antica Grecia, già parecchi secoli prima di Cristo, si pensava a una natura unica sottostante a tutte le cose. Per Talete di Mileto (VII sec a C), uomini, animali e cose erano dotati di un’anima, così fino a Platone, secondo il quale il mondo è una sorta di grande animale, la cui vitalità generale è supportata da quest’anima, infusagli dal Demiurgo, che lo plasma a partire dai quattro elementi, fuoco, terra, aria, acqua. 

    




Un primo spiraglio di diversificazione rispetto a queste teorie fu aperto da Aristotele (IV sec a C), il quale introdusse il primo tra i dualismi che tanto avrebbero contraddistinto Occidente e Oriente, la distinzione netta tra mondo animato e inanimato. È da notare l’atteggiamento degli Stoici (III sec a C), che teorizzarono un respiro divino, lo pneuma, che anima il mondo attraverso gradi diversi di condensazioni. Più condensate sono le rocce, più rarefatta è la forza vitale degli esseri viventi.





 


(Giorgio) 


Vediamo un po’ più da vicino come l’Oriente abbia continuato a riferirsi all’Anima Mundi, anche quando l’Occidente stava ormai iniziando ad accantonare quell’idea, quel concetto.

Lo SHINTOISMO ha origini antichissime, risalenti a oltre 2000 anni fa, quando la popolazione del Giappone era composta principalmente da tribù indigene. Queste tribù credevano in una vasta gamma di spiriti della natura, tra cui kami (divinità). Nella religione shintoista il concetto di kami incarna l’essenza spirituale e la presenza divina che permea il mondo naturale. I kami sono venerati come entità sacre, che comprendono un ampio spettro di divinità, spiriti ancestrali e fenomeni naturali come montagne, fiumi e foreste considerati manifestazioni sacre del divino. Si ritiene che queste venerate manifestazioni di kami influenzino e interagiscano con gli affari umani simboleggiando l’interconnessione fra il regno fisico e il dominio spirituale. Fatta salva la concezione del kami appena sintetizzata, lo shintoismo non ha dei, non ha dogmi, non ha santi. Essendo una religione con radici antichissime esclusivamente giapponese, alla fine del XIX secolo, quando il Giappone si apriva al mondo esterno, venne dichiarata Religione di Stato.

  

(Gabriella)


  



TAOISMO. Fondatore del taoismo è ritenuto essere Laozi= Lao-tse= Laotsu (IV sec a C) che in tarda età dettò Il Libro della via e delle virtù in cui per la prima volta si parlava di Tao. Nella religione Taoista all'origine è il Qi, dinamismo primordiale, né spirito né materia, e ogni cosa è un aspetto di ciò. Il Qi è una forma che si espande, dà vita al mondo, non ha una esistenza individuabile al di là della forma che prende. Esso è un principio di unità e di coerenza che unisce le molteplicità tra loro. Questo soffio si differenzia in un soffio puro e leggero, lo Yang, e in uno opaco e pesante, lo Yin. La dualità, l'opposizione e combinazione di questi due principi base è riscontrabile in ogni elemento della natura: luce e oscurità, maschio e femmina, attività e passività, movimento e staticità. Il dualismo è però pura illusione, esso - in ultima ipotesi - non esiste, è solo una codifica che l'uomo basa sull'esperienza sensoriale. Nella filosofia religiosa taoista il mutare delle cose è un continuo compenetrarsi e vicendevole rigenerarsi di questo dualismo illusorio. La vita di un uomo è assemblaggio con la nascita e dispersione con la morte. 

 




Il filosofo taoista cinese Chuang-tzu (IV sec a.C.), nelle Storie di abilità parla del Falegname Qing che, dopo 7 giorni di meditazione, entra nella foresta di montagna, “sente” il crescere degli alberi e riesce a sintonizzare i flussi naturali del qi attraverso il suo corpo con le energie naturali dell’albero.(Il Macellaio Ding sa lavorare così bene le carcasse che non le percepisce più materialmente attraverso i sensi, ma attraverso lo spirito e prepara i pezzi lasciando che le suggestioni dello spirito fluiscano)

Fondamentale è l’apporto confuciano in cui la ritualità migliora l’armonia sociale, promuove le buone interazioni tra le cose e le persone, nutre la nostra umanità di base. Come la musica nutre l’orecchio, così le stanze in cui viviamo, i mobili e le attrezzature ci nutrono. Secondo il feng shui la terra è un campo di energie e gli elementi naturali e le rocce sono speciali nuclei del qi, centri energetici capaci di suggerire soluzioni al costruttore e al giardiniere sistemazioni e gerarchie tra le piante da impiegare. 

 


 (Giorgio)



IL BUDDISMO Per la mentalità buddista, la natura non è qualcosa da gestire secondo una qualche coscienza, ma quella parte di noi stessi che permette la nostra stessa esistenza e che ci determina nello stesso modo in cui noi la influenziamo. Conoscere la natura significa conoscere noi stessi e avere cura dell’ambiente significa avere cura di noi stessi. Il pensiero buddista spiega la realtà fenomenica in base al concetto di origine dipendente. Nelle scritture del Buddismo antico si legge: "Se questo esiste, quello esiste. Se questo è nato, quello è nato. Se questo non esiste, quello non esiste. Se questo scompare, anche quello scompare". Questo brano indica che nulla esiste, né viene generato indipendentemente dal resto, piuttosto l’esistenza di qualsiasi cosa dipende unicamente dalle sue relazioni con tutti gli altri fenomeni. 





Il Buddismo insegna che ogni entità non può esistere indipendentemente da ciò che la circonda perché tutti i fenomeni dell’universo sono interdipendenti fra di loro. Nell’ottica della dottrina dell’origine dipendente, la visione della natura e dell’ambiente si avvicina molto alla moderna teoria ecologica. Ogni cosa è connessa in qualche modo. A causa di ciò, aspetti come la bio-diversità e la simbiosi fra esseri viventi sono indispensabili nel mantenimento del nostro mondo. La dottrina dell’origine dipendente sta alla base di ogni altro principio filosofico buddista. È anche molto interessante osservare che molti modelli matematici della moderna fisica quantistica rappresentano il mondo subatomico come un mondo di relazioni e non di oggetti. IL modo di concepire gli esseri umani, gli altri esseri viventi e quelli di non viventi ha importanti implicazioni sull’etica ambientale. Nel Buddismo gli esseri umani, gli altri esseri viventi e il mondo inanimato sono fondamentalmente uguali dal punto di vista della vita. Con "punto di vista della vita" non si intende qui l’uso comune che si fa della parola "vita", ma ci si riferisce all’energia fondamentale che sta alla base di tutti gli esseri viventi. Il Buddismo spiega come questa energia fondamentale, che può essere chiamata "vita", esiste potenzialmente anche in ciò che non è comunemente riconosciuto come vivente. Nel Buddismo cinese e giapponese "persino le piante, le montagne e i fiumi possiedono la natura di Buddha”.  




La natura di Buddha è quindi una proprietà non solo degli esseri umani e degli animali, ma anche di piante, monti, fiumi, rocce. Il rapporto fra tutte le cose del Mondo è così stretto e interconnesso che, quando sopraggiunge la morte, un essere umano può riprendere la sua vita in nuove forme della Natura: un albero, una pietra, un gatto. Proprio dal fatto che ogni essere partecipa alla natura di Buddha deriva che esso deve essere considerato con pari dignità. Per quanto riguarda l’argomento che qui ci interessa, cioè il rapporto fra la Natura e l’uomo, shintoismo e buddismo appaiono, quanto meno ai nostri occhi occidentali, strettamente connessi e legati fra di loro da un unico legame, dal medesimo vincolo. Al punto che, durante il mio recente viaggio in Giappone, ho chiesto più volte perché mai le due religioni continuino a sussistere ognuna per conto proprio e non tentino di fondersi, attesi i tanti punti in comune che sostengono i rispettivi “credo”. La risposta è stata piuttosto evasiva e talvolta ha creato sorpresa nei miei interlocutori come se si trattasse di identità religiose totalmente distinte e originali nella loro concezione. E, probabilmente, lo sono. Ma resta un altro aspetto sorprendente: i fedeli shintoisti sono anche fedeli buddisti e viceversa. I templi buddisti e i santuari shintoisti sono uno accanto all’altro e sembrano uniti dalla medesima fede e dalla medesima anima. Non c’è rivalità fra le due religioni, ma piuttosto, integrazione e amore. Mentre la guida giapponese mi spiegava queste regole di base, io ripensavo alle guerre di religione che hanno insanguinato il nostro mondo per secoli e che continuano ancora oggi a brutalizzarlo in una folle corsa basata sull’odio reciproco che punta esplicitamente alla scomparsa totale di chiunque dichiari la propria fede per un dio diverso. 


(Gabriella) 


Una branca del Buddismo è la filosofia ZEN che si basa sugli insegnamenti del Buddha, in particolare quelli relativi alla meditazione come mezzo per raggiungere l’illuminazione. Lo Zen incoraggia una visione non dualista della realtà, nella quale non esiste una separazione tra l'individuo e l'universo. Questo approccio è condiviso anche da altri rami del Buddismo, ma lo Zen tende a sottolineare la semplicità e l'immediatezza dell’esperienza, in una parola l’essenzialità. Essa è frutto del totale superamento di qualunque forma di dualismo. Essenzialità, come la sabbia formalmente perfetta di questa bella foto.


Una caratteristica importante dello Zen è l'idea di una trasmissione diretta dell'illuminazione al di là delle scritture e delle parole, da maestro a discepolo. Questo enfatizza il ruolo del maestro nella pratica Zen. 

Nel XIII secolo Dōgen, un monaco giapponese di ritorno dalla Cina dove aveva studiato lo Zen, fondò la scuola giapponese Zen Sōtō. Egli si propone come maestro del superamento di tutte le forme di dualismo: tra anima e corpo, soggetto e oggetto, noi e il mondo. Raccomanda di rivolgersi alle cose d'uso con le forme di cortesia (dare del lei) chiedendo agli utensili dove preferiscono stare. "Girare le cose mentre si viene girati dalle cose” questo dice Dogen a proposito delle pratiche manuali e in particolare in cucina. Interessante è l’esempio di Dogen e la barca: quando navighi in barca, regoli la vela e il remo. Nel mondo della barca esistono il cielo, l'acqua e la riva, quindi il tuo corpo, la terra, il cielo e il vento insieme determinano il funzionamento dinamico della barca stessa. Si tratta quindi di una delle innumerevoli espressioni dell’Universo, ogni volta diversa, unica e completa. Qualsiasi interazione impegnata, seria, con qualcosa con cui abbiamo un

patto di amicizia, se prestiamo piena attenzione, ci concede la partecipazione al “funzionamento dinamico delle cose”. 

Basho (XVII sec) poeta zen giapponese scrive 

dalla pianta del pino

apprendi del pino

e dal bambù

del bambù

Comprenderemo gli alberi, non attraverso nozioni o in termini di utilità, ma osservando ogni esemplare nella sua unicità, non indugiando sul perimetro, ma guardando verso il centro nel cuore. Ancora Basho: 

al bordo del cammino

l’ibisco dal cavallo

s’è lasciato brucare.

 


(Giorgio) 



In Occidente, dopo le tesi espresse dai filosofi dell’antica Grecia, si assiste ad atteggiamenti altalenanti, fino a che la filosofia cristiana teorizza la creazione dell’uomo come individuo a sé, diverso da tutte le altre creature. In tal modo determina una cesura che eclissa l’idea dell’anima del mondo unica. Sant’Agostino e San Tommaso negano l’anima agli animali. 

Cartesio (XVII sec), padre del razionalismo occidentale, crea la più grande trincea tra mondo animato e inanimato con la sua divisione tra res cogitans (pensiero) e res extensa (materia). Salvo rare eccezioni, anche quando viene sentito un senso di responsabilità dell’uomo nei confronti della natura, il rapporto occidentale tra uomo e ambiente rimane un rapporto paternalistico, nel quale la conservazione dell’ambiente e la tutela degli animali è una proprietà da gestire o un possesso da amministrare. Di fatto, la mentalità che ci ha portato a sfruttare le risorse naturali per le nostre esigenze e la mentalità che ci porta ad interessarci della preservazione del nostro ecosistema, possono essere viste come due facce di una stessa volontà di controllo. Per il Cristianesimo l’uomo è al centro del mondo e la natura è al suo servizio. L’uomo deve amare e rispettare la natura proprio perché essa è al suo servizio e ne giustifica e ne sostiene la sua stessa esistenza. Ma questo significa che l’uomo è “un collaboratore” di Dio nell’opera della creazione e quindi nel suo rapporto con la natura può fare quello che vuole o che gli conviene. 


Eppure, in questo quadro di riferimento, c’è qualcuno che inserisce qualche dubbio sulla gerarchia del Mondo. 




 
 
Un rivoluzionario che pur non avendo alcun contatto con il mondo orientale che Marco Polo visiterà 50 anni più tardi,  incomincia a pensare in modo nuovo il rapporto con la creazione, che vede come una grandiosa sinfonia il cui maestro è Dio stesso. 

E’ Francesco d’Assisi che ha già stupito i suoi contemporanei con i suoi comportamenti innovativi e con la completa rinuncia a tutti i beni materiali.

Sentiamo alcuni versi del suo  Cantico delle Creature:

….

Laudato sii, o mio Signore, 

per tutte le creature, 

specialmente per messer Frate Sole, 

il quale porta il giorno che ci illumina 

ed esso è bello e raggiante con grande splendore: 

di te, Altissimo, porta significazione. 

Laudato sii, o mio Signore, 

per sora Luna e le Stelle: 

in cielo le hai formate 

limpide, belle e preziose. 

Laudato sii, o mio Signore, per frate Vento e 

per l'Aria, le Nuvole, il Cielo sereno ed ogni tempo 

per il quale alle tue creature dai sostentamento. 

Laudato sii, o mio Signore, per sora Acqua, 

la quale è molto utile, umile, preziosa e casta. 

Laudato sii, o mio Signore, per frate Fuoco, 

con il quale ci illumini la notte: 

ed esso è robusto, bello, forte e giocondo. 

Laudato sii, o mio Signore, per nostra Madre Terra, 

la quale ci sostenta e governa e 

produce diversi frutti con coloriti fiori ed erba. 

…. 

Laudate e benedite il Signore e ringraziatelo e 

servitelo con grande umiltate.


(Gabriella) 



San Francesco sembra rappresentare dunque una notevole eccezione alla regola cristiana che stabilisce la prerogativa esclusiva dell’uomo di avere l’anima. Come abbiamo appena sentito,  Francesco si rivolge alla Luna e al Sole chiamandoli Sorella e Fratello, quasi a confonderli con quello spicchio di divinità che c’è in noi esseri umani e che nel Cantico delle Creature riconosce il legame originario tra Dio, uomo, animali e gli elementi (acqua, aria, fuoco, terra). Francesco non loda il Signore attraverso le creature; egli canta con le creature, come fanno alcuni Salmi. I suoi contemporanei percepirono immediatamente la novità di questo modo di essere: “egli appariva a tutti come un uomo di un altro mondo”; “uomo nuovo, donato dal cielo al mondo”. In Francesco l'io è chiamato a uscire da se stesso, ad affratellarsi con le cose, così da poter cantare insieme l'inno di lode al Creatore, atteggiamento possibile solo quando rinunciamo al possesso delle cose, come Francesco ha fatto nel modo più radicale ed essenziale. In conclusione, si può affermare che Francesco induce a conoscere i delicati e meravigliosi equilibri naturali, ma soprattutto ad ascoltare la voce della terra; perché la terra ha una voce, pronuncia una parola, che riecheggia la stessa parola di Dio. Qui sta la grande differenza tra il pensiero di Francesco e il buddismo/shintoismo; da un lato ci si unisce alla natura per cantare le lodi di Dio, dall’altro ci si unisce alla natura semplicemente perché ne siamo parte integrante. 


Completate le considerazioni di carattere generale sulla origine di Anima Mundi e sulle sue connessioni con aspetti filosofici e religiosi, nella seconda parte proveremo a descrivere alcune sue implicazioni pratiche, in particolare nel mondo Orientale. 

 

 


(Giorgio) 



Wa è una parola bella e misteriosa. Essa assume una infinità di significati che ruotano intorno al concetto di “armonia” e “giapponese”. Che si tratti delle linee pulite e della sobrietà dell'architettura o del modo ordinato in cui un pasto è disposto su un piatto, il concetto di "wa" è al centro della cultura nipponica. 

Sotto il profilo comportamentale, Armonia, per i giapponesi, significa evitare lo scontro, avere pazienza, ignorare il negativo, considerare costantemente l’emozione altrui, essere pronti a sacrificarsi, conoscere una persona con lentezza. In nome del WA, bisogna tralasciare la spiacevolezza, evitare di sgridare, privilegiare piuttosto un approccio che faccia dell’esempio una linea guida. 

Sviluppatasi come una società di stampo agricolo, la cultura nipponica ha teso fin dall’antichità a privilegiare l’armonia del gruppo, la collaborazione mirata all’obbiettivo comune piuttosto che all’interesse personale. Questo contratto sociale informale fra i contadini fu formalizzato per tutta la società giapponese nel 604 d.C., quando il principe Shotoku Taishi decretò nella prima costituzione nipponica: "Wa dovrebbe essere valorizzato ed i litigi evitati. Quando i superiori sono in armonia tra loro e gli inferiori sono amichevoli, allora gli affari vengono discussi con calma e prevale la giusta visione delle cose”. Così “wa” intende la convivenza pacifica e rispettosa delle parti, la condivisione euforica ed equilibrata del medesimo spazio.

Ne discende fra l’altro che non è necessario credere ad un’unica verità, ogni cosa va armonizzata ed è possibile conciliare cose apparentemente inconciliabili. Compreso il sincretismo religioso fra shintoismo e buddhismo. 






In Giappone ci sono 72 stagioni, una ogni 5 giorni: una produzione straordinaria di inizi. Suona la sveglia, si spalancano gli occhi su una stagione nuova di zecca. Finisce una stagione che lava le colpe della precedente; si porta via il negativo, offre la speranza che da domani sarà tutto diverso. E’ un invito a valorizzar il tempo, a esplorare la Natura più prossima. E’ uno spunto per appoggiarsi alla bellezza del Mondo. Il pensiero giapponese vuole essere semplice e lineare. Qui non si presume di insegnare nulla a nessuno: il modo migliore per accogliere il Mondo e goderne è proprio il distanziarsi dallo sterile confronto fra le cose, resistere alla tentazione di paragonare, ponendo uno dei due elementi coinvolti in un inutile scontro che impoverisce anziché arricchire e che ha come unico, inevitabile effetto, quello di denigrare uno dei due.

E’ vero che la qualità della vita è molto alta in Giappone, che il senso sociale è prioritario, che la sicurezza, l’onestà e l’armonia che si è respirato costituiscono un raro connubio, ma è anche vero che per ottenere tutto ciò si deve pensare un po’ meno a se stessi e un po’ più agli altri, serve sacrificare in parte la gioia singolare in nome di una felicità plurale che coinvolga non solo amici e familiari, ma anche perfetti sconosciuti con i quali non si condivide né uno sguardo né una parola. Parliamo di persone che preferiscono promuovere l'armonia di una comunità rispetto ai propri interessi personali, e questa è una qualità piuttosto rara in una cultura individualista.

È la somma di milioni di persone con un valore condiviso che le guida ogni singolo giorno; laddove la cultura occidentale sta separando le persone, con la pretesa di renderle monadi autosufficienti e apparentemente libere da tutto, specialmente da precetti, dogmi, credenze, tradizioni.

Ancora una volta aleggia su questi pensieri l’ispirazione buddista secondo la quale la felicità la si può raggiungere solo prendendo le distanze dalla materialità del Mondo, dalle passioni che ci strapazzano il cuore e ci strattonano come banderuole al vento

 


 


(Gabriella)  




In questa logica del “wa” si può capire meglio il Kintsugi, l’antica arte di restauro– letteralmente “riparare con l’oro” –che consiste nel saldare insieme i pezzi rotti di un oggetto in ceramica o porcellana, utilizzando una mistura di lacca e oro in polvere. Lo scopo non è quello di nascondere il danno, ma di enfatizzarlo, incorporando metalli costosi nell’estetica dell’oggetto che diventa in tal modo ancora più bello e prezioso, nonché unico come un’opera d’arte. I pezzi di vasellame rotti vengono saldati da un sottile strato di lacca, il cui strato finale viene poi ricoperto con una polvere di oro zecchino o argento. E’ facile intuire come il significato del Kintsugi vada ben oltre la mera tecnica di riparazione. ll fascino racchiuso in questa antica tecnica di restauro va oltre il risultato che si ottiene. Si tratta di un lavoro lungo, fatto di sapiente maestria e infinita pazienza, che racchiude un intero universo, che porta con sé un modo di intendere la vita, le cose e le persone molto profondo. Chiaramente è ispirato ad una idea di condivisione tipica dell’Anima Mundi. La filosofia che si nasconde dietro questa tecnica è così a portata di sguardo: le crepe sono lì, in evidenza, esposte, come tante cicatrici.



 



(Giorgio)  



Il Kintsugi insegna a rispettare e accogliere ciò che è danneggiato, fragile, imperfetto, non solo negli altri e nel mondo, ma soprattutto in noi stessi. Perché le ferite, le cicatrici, visibili o invisibili che siano, raccontano la nostra storia, e se ci sono è perché siamo riusciti ad andare oltre: un dolore, una malattia, una perdita… possono essere superati con forza e coraggio. È questo un modo di pensare e di intendere la vita molto lontano dalla cultura occidentale, che punta sempre al completo benessere fisico, economico, professionale, familiare, relazionale. Facciamo molta fatica ad affrontare il dolore, ad accoglierlo, attraversarlo, per uscirne cambiati. Questa antica arte orientale invece ci insegna che la vita è fatta di momenti belli e brutti, di desideri che si realizzano e di speranze disattese, di gioie e dolori, e che non è possibile rifiutare tutto quello che non ci piace. E così le ferite, le cicatrici, vanno indossate con fierezza perché rappresentano la nostra forza e la nostra resistenza davanti alle asperità della vita. Davanti ad un dolore, una perdita, la soluzione è sempre ripartire dalle proprie ferite, che ci rendono unici, proprio come gli oggetti riparati con le crepe dorate. Riparare un oggetto diventa dunque una terapia psicologica molto potente, che ci permette di accettare e amare le nostre imperfezioni, o di trasferire un evento negativo su un oggetto rotto: una volta aggiustato sarà come aver sistemato quello che non va nella propria vita, perché l’avremo trattata come un’opera d’arte unica al mondo. 



(Gabriella) 



Come abbiamo visto, nella cultura orientale lo stretto legame fra le cose e fra queste e gli esseri viventi è sempre vivo e riconoscibile. Si tratta di un concetto presente nella cultura occidentale, anche se in misura più discreta.

BEETHOVEN aveva scelto di musicare l’Ode “An die Freude”, all’Amicizia o alla Gioia, scritta dal poeta tedesco F.Schiller, per lanciare un messaggio di unità e fratellanza universale. In effetti, leggendo il testo dell’ode, ho avuto conferma che in essa sono contenuti i semi occidentali per la ricomposizione dell’anima del mondo successivamente raccolti da Nietzsche. “Gioia bevono tutti i viventi dai seni della natura…           La voluttà fu concessa al verme e il cherubino sta davanti a Dio. Abbracciatevi moltitudini…” 

NIETZSCHE in così parlò Zarathustra: “tutto è tessuto in una rete di luce come se fosse sepolto in essa, è una rete di luce in cui tutte le cose si risolvono nelle loro interrelazioni, dobbiamo tornare ad essere buoni vicini per le cose più vicine e smettere di guardare oltre con disprezzo verso le nuvole” 

HILLMAN (1926-2011) psicanalista, saggista e filosofo statunitense, nel 1995 nel libro “Anima Mundi, il ritorno dell’anima del mondo” scrive: ricostruire l’anima mundi si traduce nel prendersi cura delle cose, trattare le cose come se avessero un’anima, con cura, con buone maniere, con sensibilità estetica e coscienza di precisione. Il termine greco più vicino è la parola greca “therapeia”. Noi dobbiamo essere i terapeuti rispetto al nostro tempo malato facendo tesoro di insegnamenti Zen, come ikebana, cerimonia del tè, calligrafia, kentsugi. 

YURIKO SAITO filosofa vivente nippo-americana: la cultura giapponese ha una lunga tradizione di onorare manufatti come coltelli, aghi, bambole e di esprimere rispetto e gratitudine quando si mettono in disuso, per esempio consegnandoli a templi o santuari per lo smaltimento (ricorda spilloni in piastrella di tofu). Cita Dogen e lo Zen con il loro rispetto e l’apprezzamento della natura del Buddha e di tutto ciò che esiste. 


(Giorgio) 



Il regista Wim Wenders, autore di film famosi come Il cielo sopra Berlino e Perfect days (la vita semplice di un uomo giapponese in equilibrio con il mondo e con se stesso), in una recente intervista, ricordava come l’Europa sia nata su presupposti ed esigenze di tipo prevalentemente economico. La Comunità del Carbone e dell’Acciaio, all’inizio, e più di recente, la stessa introduzione dell’euro sono sintomi chiari dell’esigenza di trovare nel fattore economico e finanziario la ragione per i popoli europei per unirsi e lavorare insieme. Ma il denaro non ha anima. Così l’Europa unita non è stata sorretta dal senso di una patria comune, da un sentimento di identità di obbiettivi e di sforzi comuni, da una visione unitaria. In Europa ha prevalso sempre il gusto dell’opportunità, la ricerca dell’interesse individuale anche a discapito di quello generale. Mai come in questi tempi sono emerse le ragioni egoistiche dell’interesse del singolo Paese basate sul senso del nazionalismo estremo. Il senso di patria è rimasto sin qui limitato ai confini della terra di origine e a nessuno è venuto il dubbio di una sua potenziale estensione all’area ben più vasta (e importante) dei 27 Paesi messi insieme. Persino l’introduzione dell’euro, troppo anticipata rispetto alla maturazione dei tempi, ma simbolo di qualcosa di comune, qualcosa che unisce i popoli anche se solo sotto il profilo finanziario, oggi sta diventando un motivo di disaccordo e di miope rivendicazione di autonomia e indipendenza.

 




Ha ragione Wim Wenders, nulla sta in piedi senza un po’ di passione, di sentimento, di convinzione dell’animo prima che della tasca. E gli angeli del “Cielo sopra Berlino” sono proprio lì a dimostrarlo, metà creature celesti e metà esseri umani, dove la materia e lo spirito sembrano aver disperato bisogno l’uno dell’altro per sopravvivere.

Stare insieme senza condizioni, ma alla ricerca solo di una cultura comune, di una ricchezza dell’animo e della mente che può trovare solo in questo travaso e confronto di pensieri, di abitudini, anche di contrasti, la fonte della vera ricchezza.




(Gabriella)

A ben pensare, la cultura di oggi rispetto a quella antica porta l’uomo ad acculturarsi sempre più da solo, in particolare di fronte a una macchina, come il pc, perdendo sempre più l’attitudine a sedersi in circolo e a confrontarsi con gli altri. Sottolineo il fatto che l’UNITRE sotto questo profilo sembra proprio andare in controtendenza.

Abbiamo molto parlato dell’Oriente, misterioso e in gran parte sconosciuto per noi, ma pieno di fascino e di stimoli per il nostro spirito. Come accennava Giorgio un momento fa nel film Il Cielo sopra Berlino, gli uomini-angelo non sono altro che le metà angelo nate con ognuno di noi e che durante la vita abbiamo tacitato o lasciato andare via. Ma c’è sofferenza anche nell’essere solo spirito ed essi hanno nostalgia della terra al punto da voler ritornare ad essere uomini. Un bell’esempio di come il connubio anima/corpo, cielo/terra sia da tenere stretto perché forse è lì l’Anima del Mondo.  






Nel corso dei secoli l’Occidente, privilegiando la mente, ha prodotto risultati come Rinascimento e Romanticismo in arte e in musica e li ha messi a disposizione del mondo; l’Oriente col suo connubio mai perso tra corpo e spirito ci ha messo a disposizione la sua filosofia, le arti marziali con la loro potenza e la loro finezza, il modo meno conflittuale di affrontare la realtà. Nessuna delle due posizioni ha garantito da sola la felicità, ma potremmo provarci attingendo a un formidabile patrimonio comune così ampio. Bisogna cogliere l’opportunità di mettere insieme ciò che l’Oriente e l’Occidente hanno colto, ognuno per la propria strada,  nel corso dei secoli.

L’avevano già capito i grandi come Schiller e Beethoven componendo l’immortale Nona sinfonia dedicandola alla Gioia come sentimento universale. Oggi è l’inno della nostra Europa. Il solo ascolto crea magicamente un'atmosfera di appartenenza, di coralità assoluta, di ecumenismo, con sensazione dell'uno che si fonde con il tutto. Rappresenta ciò che sarebbe opportuno fare in un momento storico in cui fondere le differenze costituisce una ricchezza.




filmato 9° sinfonia e voce di Giorgio fuori campo non supportati...

(Giorgio)

Via via che ho approfondito il tema dell’anima del Mondo, mi sono reso conto che per cogliere il significato profondo di queste parole, bisogna sganciarsi dalla terminologia classica e un po’ troppo tradizionale. L’anima del Mondo forse va ricercata al di fuori degli schemi un po’ rigidi di natura religiosa o sacra. Forse va ricercata in tutto quello che non si vede, non si tocca ma esiste e muove la nostra stessa esistenza. Penso che l’Anima del Mondo stia in quella relazione con le cose che ci circondano, in quel rapporto positivo, costruttivo e incredibilmente reciproco. Penso che l’Anima del Mondo abbia una parola semplice e unica: l’Amore, che è il meccanismo del Mondo e di tutta la vita. Tornano alla mente le parole di Dante quando conclude il suo fantastico errare nell’Aldilà.: Sì, credo proprio che sia così: “l’amor che muove il Mondo e l’altre stelle”. è l’Amore, con la sua forza divina che unisce gli uomini e questi alle stelle del Cielo.


Commento a posteriori

E' stato davvero un privilegio poter condividere con amici, studenti e docenti dell'Unitre la mia recente passione per l'argomento che abbiamo trattato.

Ringrazio soprattutto mio cugino Giorgio per essersi fatto coinvolgere e aver lavorato in modo così costruttivo ed entusiastico. 



Grazie a tutti coloro che ci hanno aiutato a realizzare tutto ciò!