Gabriella Grosso

Gabriella Grosso

UNI TRE BOGLIASCO Briciole di Scienza dal 2007 ad OGGI

BIOLOGIA 2019

Fibre tessili
I mammiferi sono gli unici animali dotati di peli, organi con funzione di protettori termici e terminali sensitivi. Se analizzando un tratto di epidermide al microscopio scopriamo un pelo, siamo certi che quel tessuto appartiene ad un mammifero. L’uomo primitivo europeo ha potuto superare i terribili periodi glaciali grazie al vello di cui era coperto; la sua era una vita nomade, nel perpetuo inseguire le mandrie di selvatici. Col diradarsi evolutivo del vello ha imparato a “rubare” agli animali le pellicce, a lavorarle e coprirsi con esse, sempre per proteggersi dai freddi glaciali. Solo intorno al 5000 a.C. l’uomo scoprì di poter filare e poi tessere il vello animale iniziando così la storia, l’artigianato e l’arte dei tessuti. I primi tessuti di lana apparvero in Mesopotamia intorno al 2600 a.C., mentre in Cina appariva la seta.  
All’inizio del XX secolo i tempi e le conoscenze molecolari erano maturi perché l’uomo potesse creare da sé la prima fibra sintetica, così nel 1935 fu generata la poliammide 6,6 nota come nylon. 

Classificazione delle fibre tessili
NATURALI (Animali: lana, seta, bisso, Vegetali: cotone, lino, canapa, Minerali: oro, amianto.
ARTIFICIALI: Cellulosiche (Raion: cupro, viscosa, modal, acetati…), Proteiche (lanital, soia)
SINTETICHE (Fibra Poliammidica o Nylon, Poliestere, Fibra Acrilica…)
Le fibre naturali rappresentano oggi il 40% della produzione mondiale di fibre tessili. Dagli anni cinquanta quando contavano l’80%, lo sviluppo delle fibre man-made (artificiali e sintetiche) ne ha notevolmente ridotto la quota. Il sorpasso è avvenuto nel 2001.                                      
Il mercato delle fibre naturali è fortemente influenzato dall’andamento dei prezzi delle fibre man-made in special modo da quelle sintetiche derivate dal petrolio, essendo il prezzo legato alla quotazione del greggio. Se è vero che le fibre naturali conoscono ormai da diversi anni una ripresa nei consumi mondiali, è altrettanto importante ricordare che le fibre sintetiche hanno capacità di affrontare svariate problematiche, di evolversi e innovarsi, prevedendo e interpretando le esigenze di trasformatori e consumatori.
Dopo le due grandi rivoluzioni, quella del XIX (rivoluzione industriale) e quella del XX secolo (fibre chimiche man-made), questo millennio ci porta la terza rivoluzione, quella delle « fibre intelligenti», autopulenti, auto-riparanti, auto-stiranti, i tessili biostimolanti, lenzuola capaci di rilassarci e somministrarci il sonnifero serale, mobili imbottiti che si modellano al nostro corpo, fibre flame-retardant e fibre di benessere per la pavimentazione tessile. L’uomo non dovrà dimenticare quanto sia importante che le tecnologie siano a basso impatto ambientale, perché il miglioramento della qualità della vita non sia solo apparente e transitorio.
Inoltre l’economia globale attribuisce oggi più che in passato un ruolo decisivo ai Paesi grandi produttori di materie prime, dal petrolio, al grano, alla soia e a tutti i generi alimentari. La produzione e gli scambi delle fibre naturali sono una componente di grande rilevanza di questo scenario che richiederà, almeno per le principali fibre, ulteriori sviluppi nelle istituzioni di regolazione del mercato e un riassestamento della geografia degli scambi, che già oggi rappresenta un fitto reticolo che ricopre tutto il globo. 
Mentre ricordiamo che le fibre sintetiche sono nate da un’attenta osservazione e conoscenza delle fibre naturali, prima fra tutte la struttura macromolecolare, è interessante sottolineare che ci sono delle caratteristiche fisico-chimiche comuni da cui derivano particolari proprietà: si parla di tessuto cristallizzato se le macromolecole sono orientate, caratterizzate da un elevato grado di ordine e coesione molecolare. Esse favoriscono la tenacità, la rigidità e la stabilità termica, ma non l’allungamento, la flessibilità, la filabilità e la tingibilità. Il lino per esempio è un tessuto di tipo «cristallizzato». In particolare la tingibilità è legata alla presenza di zone amorfe dove le molecole a catena sono disposte in modo aggomitolato e a caso. Queste sono le zone più attive chimicamente, quelle dove avvengono i primi attacchi sia dei reagenti chimici che dei coloranti. Si spiega così il motivo per cui certe fibre risultino adatte ad assumere uno spettro di tinte più ampio di altre. 

Fibre naturali
Tra i tessuti animali la seta e il bisso derivano da secrezioni salivari dell’animale (baco da seta, mollusco), mentre tutti i tipi di lana (pecora, capra, cammello, alpaca, vigogna, guanaco) sono prodotti da bulbi piliferi. Comunque, dal punto di vista chimico tutte le fibre animali sono proteine,macromolecole organiche quaternarie (C, H, O, N).
I tessuti vegetalipossono derivare dal seme come nel caso di cotone e kapoc, dal libro (parte fibrosa del fusto della pianta) come lino canapa e iuta, dal frutto come nel cocco, o dalla foglia come nel caso di Sisal (un’agave) e rafia. Tutte le fibre vegetali sono costituite da polisaccaridi, anch’essi macromolecole organiche, questa volta ternarie(C, H, O). Tra i polisaccaridi, la cellulosa è il più interessante dal punto di vista della tessibilità. La cellulosa è la materia fondamentale della membrana delle cellule vegetali. È una sostanza insolubile sia in acqua che nei solventi organici. 
I tessuti di origine minerale derivano da oro argento amianto e vetro ridotti in fili. Dal punto di vista chimico si tratta di molecole inorganiche.
Un impiego importante era svolto dall’amianto per tute ignifughe ma, riconosciuta la pericolosità della fibra, ci si rivolge a tessuti artificiali di origine vegetale sottoposti a trattamenti chimici come Coex, polimero cellulosico prodotto e ideato da ditte italiane, o a fibre sintetiche.


ANALISI DEI TESSUTI 
Prova alla FIAMMA
Per conoscere la natura della fibra costituente un tessuto, potete tagliare alcune strisce di diversi tessuti e accendere con un fiammifero una estremità. Spegnete dopo qualche secondo.  Cotone, raion e lino bruceranno rapidamente lasciando un piccolo residuo di cenere; lana e seta avranno emanato odore di corno bruciato, il nylon o poliammide 6 o 6,6* non avrà subìto combustione ma si sarà fuso in una pallina vicina al punto che ha preso fuoco. La pallina trattata con solventi organici si scioglierà, mentre fibre naturali come cotone lino e lana non ne saranno intaccati. 

ANALISI DEI TESSUTI PROVE SPECIFICHE

SETA Al microscopio:la seta greggia e cruda presenta due bavette cilindriche (di fibroina) unite e coperte da uno straterello gommoso di collagene (sericina). 
Alla fiamma la fibroina e la sericina bruciano lentamente con odore di corno e lasciano ceneri compatte.
LANA Al microscopiosi presenta come un «serpentello» a struttura embricata (con squamette sovrapposte). Questo tipo di struttura e l’azione combinata di acqua e alcali stanno alla base del processo d’infeltrimento della lana. Tanto più fitte e regolari sono le squame, quanto migliore è il prodotto. Le estremità della fibra possono essere intere o appuntite. 
Alla fiamma la lanabrucia con difficoltà e lentamente, emanando odore di corno bruciato con un residuo carbonioso friabile a pallottolina.
LINO Al microscopio la fibra appare cilindrica con lume centrale sottilissimo e nodosità irregolari che ricordano il bambù (ciò permette di distinguerlo subito dal cotone che ne è privo). Le nodosità sono dovute a pareti di cellule sovrapposte. Le fibre possono presentarsi isolate o riunite in fascetti di 2-3.
COTONE Al microscopio la fibra appare come un nastro, con un lume centrale che si torce a spirale avvitandosi lungo l’asse longitudinale. Il cotone mercerizzato manca di spiralizzazione. 
Alla fiamma,come ogni fibra cellulosica, brucia vivacemente e rapidamente emanando odore di carta bruciata e lasciando poca cenere leggera e grigiastra.
CANAPA Almicroscopio sono evidenti le sue cellule cilindriche striate longitudinalmente di spessore poco uniforme e più piatte di quelle del lino. Le pareti trasversali, visibili, nascondono il lume. 
FIBRE ARTIFICIALI Almicroscopiosi distinguono facilmente da quelle naturali perché si presentano con filamenti isolati nastriformi, lisci senza alcun cenno alla suddivisione cellulare, riconoscibili come cilindri irregolari striati longitudinalmente. Certi raion non presentano strie, ma punti diffusi.
Alla fiammail raion brucia rapidamente senza odori e con scarsi residui di cenere grigia. 
FIBRE SINTETICHE Al microscopio non è possibile avere un riconoscimento comune a causa delle derivazioni differenti. 
Alla fiamma alcune fondono con residuo carbonioso, altre, come lo stesso nylon, fondono senza residui.

Anna Maria Assanelli al microscopio

Mauro Priano al microscopio

*Il nome della poliammide alifatica è composto dal termine "nylon" (o più raramente "poliammide") seguito da uno o due numeri, (6 o 6,6) i quali rappresentano il numero di atomi di carbonio che compongono l'unità ripetitiva.





 Lana, fibra naturale di origine animale, fibra proteica

Fibra animale che si ricava dal vello di pecore, montoni, capre e altri ruminanti, comunque solo da ovini, caprini, camelidi (cammello, dromedario, lama, alpaca, vigogna, guanaco), oltre al coniglio per l’angora. Il vello migliore si ottiene da spalle e fianchi. L’animale è fatto saltare in un ruscello per dare una prima lavata (lana saltata) per poi procedere alla «lavatura a fondo» dopo la tosatura. La lana è una produzione cornea dell’epidermide ed è formata da una sostanza organica quaternaria (C, H, O, N) detta cheratina. Questa è una proteina solforata (+S) a struttura elicoidale, un polimero naturale, anzi una poliammide naturale.  Le lane più pregiate hanno fibre molto sottili e molto ondulate con grande elasticità alla trazione. Nelle lane merinos, si contano fino a 30 ondulazioni ogni 26 mm.
La lana è unacattivaconduttrice di calore per cui mantiene il calore del corpo a temperatura costante; è la più igroscopica delle fibre (fino al 40% del suo peso iniziale), per cui assorbe acqua e sudore lasciando la pelle asciutta (ecco il perché dei freschi di lana per l’estate), inoltre è leggera, porosa, elastica e resistente.
Al microscopiosi presenta come un «serpentello» a struttura embricata (squamette sovrapposte), alla quale è collegato il processo d’infeltrimento (dovuto soprattutto all’azione combinata di acqua e alcali). Tanto più fitte e regolari sono le squame, quanto migliore è il prodotto. Le estremità della fibra sono intere o appuntite. Alla fiammabrucia con difficoltà e lentamente, emanando odore di corno bruciato con un residuo carbonioso friabile a pallottolina. 
La lana dà filati e tessuti. Se si parla semplicemente di lana ci si riferisce a quella di pecora. La qualità migliore è la Merinos, da pecore africane, poi allevate in Spagna, Gran Bretagna e successivamente diffuse dai coloni e portate soprattutto in Australia.
La produzione mondiale di lana (2.2 milioni di tonnellate) non raggiunge neppure l’1%di quella delle fibre tessili ed è concentrata in un ristretto numero di paesi. Circa un quarto viene prodotta in Australia. Da Cina, Nuova Zelanda, Iran, Argentina, e anche Regno Unito un ulteriore 3%. Circa metà della lana, dopo aver ricevuto le prime basilari trasformazioni, viene esportata nei grandi centri dell’industria tessile dove viene filata e tessuta. In Italia esiste una produzione di nicchia sostenuta dalla Regione Piemonte. 
Altri tipi di lana, denominate collettivamente “lane fini”, vengono utilizzati dall’industria tessile e sono l’alpaca, il cashmere, l’angora, il mohair, e il cammello. Nel complesso la produzione di queste lane tutte di natura pregiata, ammonta a circa 30mila tonnellate annue. Le fibre ricavate dal vello delle capre mohairsono prodotte prevalentemente in Sud Africa, negli Stati Uniti ed in Turchia per un totale di circa 8mila tonnellate; quelle ricavate dal vello delle capre cashmeresono circa 5mila tonnellateannue, prodotte prevalentemente in Cina, Mongolia, Iran e Afghanistan. L’alpacaè prodotto in America latina, Perù, Cile e Bolivia per circa 4mila tonnellate. Le fibre ricavate dal sottopelo del cammellosono circa 2mila tonnellateannue. La lana da conigli d’Angoraha una produzione di poco più di 8mila tonnellateed è quasi esclusivamente cinese. Una piccola quantità di fibre laniere è ricavata anche dai lama in Perù e Bolivia per circa 500 tonnellateannue. Le principali istituzioni nel mercato della lana sono concentrate nei paesi produttori, in particolare in Australia. Nel 1991 il governo ha abolito il sistema dei controlli internazionali e pochi anni dopo è stata fondata la borsa australiana della lana (AWEX), un organo privato indipendente che oggi gestisce gli scambi in un mercato deregolamentato.
Un sottoprodotto della lavatura è la lanolina sostanza grassa utilizzata per creme e saponi.       

NB Pura lana vergine, marchio riconosciuto in 117 paesi gestito dalla Woolmark Company, garantisce che il prodotto sia fatto solo da lana nuova proveniente da tosatura con tolleranza d’impurità pari a 0,3%.




Seta, fibra naturale di origine animale, fibra proteica

Fibra di natura proteica, poliammide naturale, sottile, lucente, resistentissima. Viene fornita già filata dal baco di una farfalla, il Bombix mori che la emette sotto forma di bava vischiosa da due aperture poste ai lati della bocca.  Le due bave seriche appena emesse si fondono e si solidificano in un filo che il baco usa per costruirsi il bozzolo.  Il bozzolo è formato da un unico filo lungo fino a 1200 m. Nonostante il baco ci regali il prodotto già filato, per ottenere un filo utilizzabile per tessere bisogna unire da 3 a 10 fili da altrettanti bozzoli (operazione di trattura, inizialmente manuale). Il tessuto che se ne ricava ha una mano unica ed è morbido, tenace, elastico. La stoffa andrebbe conservata arrotolata e non piegata per non indebolire le fibre lungo le piegature. La sensazione fisica è unica e inconfondibile.  È cattivo conduttore di calore e di elettricità, poroso, igroscopico. È un isolante termico e mantiene il calore d’inverno e il fresco durante l’estate. Assorbe l’umidità che rilascia lentamente. Si tinge benissimo (serigrafie!).
Al microscopiola seta greggia presenta due bavette cilindriche (di fibroina) unite e coperte da uno straterello gommoso di collagene (sericina). Alla fiamma la fibroina e la sericina, come ogni sostanza animale, bruciano lentamente con odore di corno e lasciano ceneri compatte.
Sottoprodotti: dai bozzoli scartati in Oriente nascono ottime ricette, viene utilizzato tutto fino a concimi e mangimi. In Oriente un classico street-food sono i bozzoli di baco da seta fritti!
La seta era conosciuta in Cina 5000 anni fa, diffusa poi in Giappone, India e Persia e dal VI secolo in Europa (nei bastoni di monaci persiani che la portarono alla corte di Giustiniano, a Bisanzio).
La seta, una fibra conosciuta da tutti i consumatori di moda al mondo, malgrado il suo grande appeal, rappresenta, su scala mondiale, una produzione quantitativamente molto ridotta non superiore alle 135mila tonnellateannue.  La Cina è il produttore dominante con oltre il 70% della produzione mondiale. Produzioni minori si realizzano in altri Paesi dell’Asia Orientale come l’India (19%), il Vietnam e la Tailandia. Piccole quantità sono prodotte in Asia Centrale, in Turkmenistan e Uzbekistan. Unico produttore non asiatico è il Brasile.   
Seta selvatica: Aristotele, nel V sec a.C. menzionava fili e tessuti fantastici, verosimilmente di seta, ben prima di qualunque altra notizia di colture specifiche.  Si trattava delle sete selvatiche prodotte nel bacino del Mediterraneo. Le farfalle che le producevano vivevano allo stato libero nei boschi, cosa che rendeva non facile il rapporto con l’uomo che voleva produrre il tessuto. Esistono più di 400 specie di farfalle che costruiscono bozzoli serici, oltre il Bombix mori che non esiste in natura, voluto così e ottenuto dall’uomo attraverso una specie di domesticazione. L’antenato più probabile è Theophila (o Bombix) mandarina, cinese. Quando dall’Oriente arrivarono i risultati della domesticazione, le culture selvatiche vennero abbandonate, non così in Cina, India e Giappone dove le due attività hanno continuato a sopravvivere. 
L’India è l’unico paese che alleva oggi le varie specie produttrici di seta selvatica, in Assam*.                                                                                                                                                                                                                               
Seta Tussah: prodotta dal bozzolo di bachi selvatici del genere Antheraea (mylitta, yamamai, roylei, pernyi, con ibrido proylei) non allevati, per questo chiamata anche seta selvaggia o selvatica. La seta Tussah, rispetto alla seta tradizionale, ha una grande resistenza a seguito della trazione e dell'uso prolungato della stoffa. Anch'essa è un ottimo isolante termico ma in più ha un'elevata igroscopicità, cioè assorbe bene l'umidità e la rilascia velocemente, più della seta tradizionale. Viene usata per arredamento di lusso.              
Seta Muga, (Antheraea assamensis) per secoli privilegio dei sovrani dell’Assam, definita nei testi sacri “di colore più bello dell’oro”. L’insetto non si adatta a vivere in nessun altro luogo diverso dall’Assam, pur con le stesse condizioni climatiche e le stesse piante nutrici. L’Assam ha introdotto una sorta di “indicazione geografica” per preservare la seta Muga da imitazioni.        
Seta Eri, da farfalle del genere Phylosamia (ricini e cynthia), soffice, morbida e calda come una lana o come un caldocotone, ideale per capi invernali.
 NB. Seta Mulberry è la seta del gelso, ossia quella prodotta dal Bombix mori, infatti mulberry significa gelso in inglese. 
 *Seta selvatica: passato e presente, la seta prima del Baco da seta   Dianora Della Torre Arrigoni

Bisso, fibra naturale di origine animale, fibra proteica

Fibra lucente e resistente.  Viene prodotta da un mollusco, Pinna nobilis, che vive nelle acque del Mediterraneo e del Mar Rosso. Si tratta dei ciuffi di fibre che servono per tenere le valve della conchiglia fissate al fondo. 
Il bisso naturale, rarissimo, è ancora presente in Sardegna e in qualche antico corredo.
Il bisso artificiale è una imitazione ottenuta da lino, cotone, canapa e usato per tovagliame.

Cotone, fibra naturale di origine vegetale, fibra cellulosica

Il cotone (Gossypium L.1753è in assoluto la più importante pianta tessile del mondo. È una pianta arbustiva appartenente alla famiglia Malvaceae, originaria del subcontinente indiano e delle regioni dell'Africa e delle Americhe comprese tra i paralleli  40°N e 30°S. Fu importato in Europa dagli arabie in seguito alla rivoluzione industriale arrivò a rappresentare i ¾ della produzione mondiale all’inizio del XX secolo. Cresce nei paesi con una alternanza stagionale da caldo-secca a umida (Cina e Stati Uniti producono quasi metà del totale mondiale). Le qualità migliori crescono tuttavia nei paesi desertici, dove il terreno viene irrigato (EgittoPakistanRussia). È una pianta "annuale" con ciclo vegetativo di circa sei mesi. 
La fibra deriva dai bioccoli lanuginosi (peli che rivestono i semi) che escono dal frutto, il quale arrivato a maturità si apre spontaneamente lasciando libera la bambagia. Dapprima essa è liberata dai semi, compressa in balle e inviata alle filande. Dai bioccoli si ottiene una striscia lunga e i fili vengono abbinati, ritorti e, se trattati con soda caustica mercerizzati*, poi tinti e confezionati in rocchetti o usati per la tessitura. Il cotone viene anche usato per usi farmaceutici, imbottiture o imballaggi. Serve per produrre mussole, batiste, pelli d’uovo, crespi, cretonnes, piquet, organze, tulli, panama, fustagni, mollettoni, velluti. Sono tessuti resistenti, lavabilissimi, porosi, igroscopici, cattivi conduttori di calore, molto igienici perché permettono la traspirazione mantenendo costante la temperatura del corpo.   
Al microscopiola fibra appare nastriforme dotata di un lume centrale, il nastro è ritorto in più punti. Il cotone mercerizzato manca di spiralizzazione. Alla fiamma,come ogni fibra cellulosica, brucia vivacemente con fiamma rapida, emana odore di carta bruciata e lascia poca cenere leggera e grigiastra. Il cotone trattato con olio rimane opaco, a differenza del lino che diventa trasparente.
Ogni anno si producono circa 25 milioni di tonnellate di cotone (più di 1/3 OGM). I principali produttori sono: la Cina, gli Stati Uniti, il Pakistan, l’India, l’Uzbekistan, la Turchia e il Brasile. Sono più di 80 i Paesi in cui vi sono produzioni di cotone, largamente diffuso in tutti i continenti. In alcuni paesi, in particolare africani, la produzione e l’esportazione del cotone rappresentano una componente fondamentale delle economie nazionali, principale fonte di approvvigionamento di valuta estera e di occupazioni agricole. In Egitto e nell’Africa Centrale e Occidentale (Benin, Burkina Faso, Chad, Mali e Togo) circa la metà delle esportazioni sono dovute al cotone, con un valore tra il 3% e il 7% del PIL. La maturazione dei frutti è scalare e si completa in alcuni mesi, per questo la raccolta a mano è la più idonea. 
Il mercato del cotone, proprio per l’importanza che ricopre per la formazione del reddito degli agricoltori anche in molti paesi avanzati, è fortemente condizionato dai sussidi a sostegno dei redditi agricoli; ciò porta a una riduzione dei prezzi sui mercati internazionali e favorisce le produzioni e le esportazioni dei paesi avanzati. Secondo la FAO (SOCO Report 2005) i costi di produzione del cotone negli Stati Uniti sono il triplo di quelli in Africa Occidentale, ma i produttori di cotone americani ricevono sussidi. Grazie a questi aiuti il prezzo del cotone americano è competitivo con quello dei Paesi a minor reddito e contribuisce a mantenere basso il prezzo mondiale della fibra.
In Europa la produzione del cotone è limitata e si concentra in Spagna e Grecia. I tentativi fatti in Italia hanno registrato scarsi successi per il ciclo colturale troppo breve.
Il maggior paese manipolatore del prodotto è oggi la Cina.
Sottoprodotti. Dai semi si ricava l’olio di cotone commercializzato come olio vegetale.

Le specie coltivate sono: 
Gossypium arboreum e Gossypium herbaceum : coltivato in India, con fibre spesse e corte
                      
Gossypium barbadense : coltivato in Egitto, con fibre lunghe e fini, il migliore al mondo

Gossypium hirsutum : il 95% del cotone coltivato nel mondo, ha fibre intermedie.

*Trattata con NaOH la cellulosa del cotone e lavata in acqua più volte, acquista un aspetto sericeo e il cotone, dal chimico Mercier, si dice mercerizzato 

Notizie storiche e geografiche sul cotone
Storicamente a una certa latitudine il cotone era una pianta spontanea ubiquitaria, ecco perchè Alessandro Magno (IV sec a.C.), la trovò impiegata come tessuto base in India, nelle Americhe ritrovamenti archeologici documentano che veniva utilizzata già 1000 anni prima di Cristo e in seguito gli spagnoli di Cortes incontrarono indios vestiti di cotone.
Alle crociate i cristiani vestiti di lana e lino incontrarono arabi vestiti di cotone.
Gli arabi introdussero la pianta e la fibra in Egitto, Algeria, Spagna col nome di al-kutun.
Nel XVIII secolo il mondo, tutto, richiede cotone e quello importato dall’India non basta. La rivoluzione industriale nata in Inghilterra fornisce macchinari fondamentali per affrontare grandi produzioni : in tutte le colonie inglesi situate alla giusta latitudine (tra i paralleli 40°N e 30°S), si coltiva cotone. Specie nella cosiddetta cotton-belt americana dove servono braccia. Questa è la causa più rilevante che dà inizio alla terribile deportazione degli schiavi dall’Africa. Nel XIX secolo gli USA ormai indipendenti continuano da soli, così come l’India e l’Egitto. Si coltiva anche nelle colonie francesi e in Brasile.
Oggi, questa pianta poco esigente, che richiede solo condizioni particolari di temperatura e luce (esigenze che la natura può soddisfare) e poca acqua, è coltivata in 90 paesi, per alcuni dei quali è risorsa fondamentale di sopravvivenza.
Tra i più importanti:  Cina (5,7 milioni di tonnellate), Stati Uniti America (5,2), Pakistan (2,1), Africa occidentale (2), Uzbekistan (1,2) e Brasile (1). Gli altri paesi ne producono ciascuno meno di un milione di tonnellate, ma sono davvero in molti a coltivarlo.
In CINA si lavora notte e giorno e si parte dalla coltivazione per arrivare al prodotto finito. L’industria del cotone cinese ha dato l’avvio al capitalismo comunista. Dichiarazione di un politico cinese: « Il mio paese è sempre stato la prima potenza mondiale tranne negli ultimi due secoli, entro 20 anni recupererà il primato. No, non temiamo l’India : è troppo democratica. Nella democrazia si perde troppa energia. »
Gli USA sono il paese delle grandi sovvenzioni statali. Il cotone coltivato è per la maggior parte OGM . La Monsanto ha prodotto semi OGM con geni muniti di insetticidi e erbicidi.  Il costo del seme è alto, ma l’uso è sovvenzionato. Nel 2015 l’OMC (Organizzazione Mondiale Cotone) ha condannato il principio delle sovvenzioni americane ordinandone la progressiva eliminazione dando ragione alle istanze di Africa e Brasile in cui i coltivatori non godono di sussidi statali. 
Gli USA  hanno in mano l’intera filiera  a partire dalle sementi, via via al fiocco , fino al prodotto finito. 
L’AFRICA OCCIDENTALE (C4=Burkina Faso, Mali, Benin e Ciad) nonostante la scelta del Burkina di abbandonare i prodotti OGM, produce la maggior parte del prodotto mondiale, ma le balle vengono portate in altri paesi che figurano come produttori, così le statistiche sono menzoniere. Il cotone viene raccolto a mani nude e la gestione è famigliare. Niente di ciò che è prodotto rimane in loco. Ci sono luoghi con posteggi di camion sempre pronti a partire per uno smistamento immediato del prodotto. 
L’UZBECHISTAN è tra i primi esportatori mondiali. Il 20% viene processato internamente, il restante viene  inviato in Cina, Pakistan, India. La coltivazione è famigliare con vendita allo Stato (che paga quando vuole). Nei periodi di raccolta le aule scolastiche si svuotano. L’uzbeco è per natura mite e conservatore, tiene i soldi in casa, paga in contanti, non si fida delle banche.
In BRASILE un mare bianco ha sostituito le foreste del Mato Grosso, il cuore del paese. Il livello tecnologico è molto avanzato, lo slogan è : il Brasile guarda al futuro. Vengono anche impiegate sementi OGM con geni di ragno tessitori per conferire più elasticità alla fibra.
L’EGITTO ha una produzione bassa, ma produce il miglior cotone, quello proveniente dal Gossypium barbadense, a fibre lunghe e fini. Le condizioni climatiche sono ottimali con clima caldo ed escursioni termiche ridotte. Due raccolti l’anno, con tempo intermedio per coltivazioni di legumi e cereali. Qui è impossibile attrezzarsi modernamente e affrontare la concorrenza mondiale perchè è ancor valida la legge Nasser che limitava l’estensione degli appezzamenti di terreno. Il cotone prodotto è di gran lusso ed è idoneo persino alla costruzione di paracadute.


Lino, fibra naturale di origine vegetale, fibra cellulosica

La fibra del lino ha una lucentezza argentea, è fresca al tatto, molto tenace; si ricava dal fusto di una pianta erbacea annua della famiglia delle Linacee, il Linum usitatissimum, con foglie lanceolate e fiorellini azzurri, ubiquitaria in Europa, più frequente nelle zone temperate fresche (Russia, Belgio, Olanda, Francia). Il lino è considerato l’unica fibra tessile di origine europea. La tradizione mediterranea è molto antica: le mummie egiziane erano avvolte in teli di lino. Alle Crociate i cristiani vestivano di lana e di lino, i musulmani di cotone.
 Nel XIV° e XV° secolo gran parte della produzione mondiale di lino veniva realizzata nel nord Europa tra le Fiandre, la Francia e la Germania (zona di Amburgo).
La tradizione europea è caratterizzata da lini grossi e scuri provenienti da Russia e Polonia, lini fini quelli italiani, lini per merletti di gran pregio provenienti da Belgio (Bruges), Olanda e Francia (Valenciennes).
La pianta del lino sopporta due periodi di semina e raccolta: il lino migliore è quello primaverile per il fatto di essere più sottile e splendente, mentre quello autunnale è più grossolano e resistente. Il fusto erbaceo utilizzato per la fibra va raccolto verde prima della lignificazione e fatto macerare in acqua. 
Se si vuole raccogliere il seme anziché la fibra, la raccolta avviene a maturazione dei frutti. I semi di lino (ricchi di omega3 e omega6) hanno grande impiego, possono essere messi interi in acqua per essere utilizzati come lassativo o possono essere utilizzati in prodotti da forno e in insalate; schiacciati danno oli essiccativi per vernici e linoleum, ridotti in farina per cataplasmi. 
La sensazione fisica che dà il lino è molto particolare, è infatti buon conduttore di calore per cui, lasciando disperdere il calore del corpo, nella stagione calda regala una bella sensazione di freschezza. Rispetto al cotone è più resistente e meno elastico, infatti si sgualcisce facilmente.
Se trattato con olio diventa trasparente (mentre il cotone resta opaco).
Al microscopiola fibra appare cilindrica con lume centrale sottilissimo con nodosità irregolari che ricordano il bambù (ciò permette di distinguerlo subito dal cotone che ne è privo). Le nodosità sono dovute a pareti di cellule sovrapposte. Le fibre possono presentarsi isolate o riunite in fascetti di 2-3.
Malgrado la grande notorietà e reputazione di questa fibra presso i consumatori mondiali di prodotti della moda, la produzione mondiale di lino è molto limitata come nel caso della seta. Nel complesso la produzione mondiale non raggiunge le 100mila tonnellate annue, gran parte della quale avviene in Cina (2/3) e la restante parte in Europa, in particolare nelle Repubbliche della Federazione Russa e in Francia. 
I cascami (prodotto residuo) costituiscono la stoppa e si utilizzano per imballaggi, cordami, o vengono avviati alle cartiere.


Canapa, fibra naturale di origine vegetale, fibra cellulosica

La canapa (genere Cannabis) appartiene alla famiglia delle Cannabinacee, è una pianta annuale originaria dell’Asia Centrale alta fino a 3-4 m e in natura è dioica, cioè ci sono piante femmina e piante maschio. Prima della formazione dei fiori non è possibile riconoscere il sesso delle piante di canapa. In effetti, essendo la popolazione della canapa molto variabile, nel campo si possono trovare soggetti con caratteri molto diversi tra loro, ad esempio si trovano piante che portano sullo stesso stelo fiori maschili e fiori femminili, piante con fiori solo maschili o solo femminili, piante che contengono livelli elevati di THC (marijuana) e piante che ne sono del tutto prive, piante con colorazione delle foglie che varia dal verde chiaro, al verde scuro al violaceo. Approfittando della variabilità della canapa, nel tempo e con la selezione, l’uomo ha creato tante varietà: da fibra, da seme, da droga.
La distinzione tra Cannabis indica e Cannabis sativa, utilizzata per indicare rispettivamente la canapa ad alto tenore di THC e la canapa a basso tenore di THC, è un errore botanico perché forse si tratta di una specie unica. In questo equivoco è caduta anche la normativa italiana antidroga. La canapa fornisce da millenni un'ottima fibra tessile che viene ottenuta dal floema o libro dei fusti di piante di Cannabis sativa. Originaria dell’Asia, è una pianta che raggiunge i 4m di altezza. Due sono le varietà più importanti: la canapa d’estate a fiori staminiferi utilizzata per la fibra e la canapa d’inverno a fiori pistilliferi per ottenerne una fibra più grossolana (canapone) e il seme. Le fibre, una volta isolate, si presentano in filamenti molto lunghi, da uno a 3m. 
Sottoprodotto importante è la stoppa. 
La coltura della canapa per usi tessili ha una antica tradizione in Italia, veniva usata fin dall'antichità per tessuti resistenti e cordame ed è molto legata all'espandersi delle Repubbliche marinareche l'utilizzavano grandemente per corde e vele delle proprie flotte di guerra. La tradizione di usarla per telerie domestiche è molto antica, ad esempio in Romagna  le tovaglie di canapa decorate con stampi di rame nei due classici colori ruggine e verde sono oggetti di artigianato che continuano ad essere prodotti. La produzione commerciale di canapa in occidente è decollata nel XVIII secolo, perché a causa dell’espansione coloniale e navale dell'epoca, le economie necessitavano di grandi quantità di canapa per corde e stoppa. 
Al microscopio si mostrano cellule cilindriche striate longitudinalmente di spessore poco uniforme, più piatte di quelle del lino. Le pareti trasversali, visibili, nascondono il lume. Costituite in gran parte da cellulosa pura, possono presentarsi sfilacciate all’estremità.
Le fibre sono ancora largamente utilizzate dagli idraulici come guarnizione.
Per centinaia di anni, fino alla seconda metà del Novecento sono state la materia prima per la produzione di carta.
L’utilizzo e più in generale il mercato della canapa, sono stati fortemente influenzati su scala globale dalla sostanziale indistinguibilità, a meno di prove di laboratorio, della canapa per uso industriale dalla canapa per uso farmaceutico, la Cannabis indica, ricca di THC, sostanza psicoattiva. 
Attualmente la Cina realizza circa la metà della produzione mondiale, mentre Spagna, Corea, Federazione Russa e, in America latina, il Cile sono gli altri maggiori produttori.








Fibre Artificiali: nitrocellulose, acetilcellulose, proteiche, minerali

Le fibre artificiali rispondono al sogno di produrre in laboratorio una fibra simile alla seta partendo da fibre meno nobili quali quelle del cotone, un po’ come il sogno degli alchimisti era tramutare i metalli in oro. Alla fine dell’ottocento il conte Chardonnet, partendo da cascami di cotone sciolti  in  acido e
poi passati in filiere di platino, aveva prodotto la seta Chardonnet. Era nata la prima nitrocellulosa. 
Poco  prima, in Inghilterra Frederick  Walton aveva inventato il  linoleum partendo da  alcune materie prime naturali come olio di lino, resine naturali, juta, sughero.
A partire dagli anni ‘20-‘30entrano nell’uso le fibre artificiali. Pur di origine vegetale, ma sottoposte a trattamenti chimici, vengono raggruppate sotto il nome di fibre cellulosiche artificiali.  Il denominatore comune è la cellulosa, sostanza ricavata dalla parte legnosa del fusto di piante come il pioppo, l’abete, la betulla e anche la canna. La presenza di ossidrili liberi nella molecola della cellulosa rende possibile la formazione di esteri per reazione con acidi. Parallelamente alla produzione di fibre, e partendo spesso dagli stessi polimeri, si sono ottenuti dei materiali non fibrosi, amorfi che si prestavano a essere stampati a caldo, le materie plastiche. Le prime furono celluloide, bakelite, plexiglass e polivinili. 
La categoria di acidi utilizzati determina il tipo di cellulosa: si distinguono nitrocellulose e acetilcellulose.
Le nitrocellulosesi differenziano per il grado di nitrazione. Un grado alto è adatto per la produzione di esplosivi (fulmicotone). Un grado medio per la produzione dei primi tessuti cellulosici (seta Chardonnet), vernici, celluloidi per pellicole fotografiche, strumenti da toeletta e giocattoli. Per il fatto di essere infiammabili sono stati sostituiti da altri materiali.
Le acetilcelluloseottenute trattando con acido acetico sono ininfiammabili e da queste derivano il cellophane (cui oggi viene preferito il polietilene), i filtri per sigarette e fibre artificiali (con nome generico di raion acetato). Purificata dei residui legnosi, la cellulosa proveniente da cascami di cotone, peluria di semi di cotone, pioppo, abete, betulla, canna palustre viene sottoposta all’azione di sostanze che la trasformano in una sostanza giallo rossastra pastosa, appunto la viscosache, dopo essere lasciata riposare, viene passata in filiere di platino immerse in un bagno coagulante (cloroformio o acetone). Dal bagno escono fili lucenti che possono essere direttamente tessuti. Il solvente va riciclato o eliminato, per questo motivo le industrie tessili sono altamente inquinanti. Il Raion prende poi nomi diversi a seconda dei reagenti usati e dei trattamenti secondari. I nomi delle fibre sono a noi noti come viscosa, cupro, acetato, modal, ma anche lyocell e fibra cellulosica di bambù, sempre viscose, ma con origini dichiarate. Queste ultime vengono trattate con schede specifiche (n°11 e 12).
Almicroscopiosi distinguono facilmente dalle fibre naturali perché si presentano con filamenti isolati nastriformi, lisci senza alcun cenno della suddivisione cellulare, riconoscibili come cilindri irregolari striati longitudinalmente. Nel raion opacizzato non strie, ma punti diffusi. Se si è in dubbio sull’origine naturale o meno, visto che a molti di essi vien dato il nome di seta artificiale, si può fare la prova con la fiamma: bruciano rapidamente, senza odori caratteristici e con scarso residuo di cenere grigia e leggera.
Oltre alle cellulosiche che sono la maggior parte, ci sono anche fibre artificiali di origine proteica.
La lana artificiale o lanital (scheda n°13) è una fibra ideata in Italia, di origine animale proteica, prodotta a partire dal latte.  Di origine proteica sono anche le fibre di soia (scheda n°14).
Altra importante fibra artificiale, questa di origine minerale, è la fibra ottica in cui il vetro, materiale naturale fragile, viene reso elastico passandolo in filiere con diametro inferiore al decimo di mm. Poi, dall’incontro con materiali sintetici, nascono prodotti dall’impiego più vario in campo aerospaziale, nautico, automobilistico e ingegneristico (es. vetrocemento).
Un prodotto artificiale di ultima generazione è il Coex, un biopolimero (polimero cellulosico di origine vegetale) ad uso tessile. Nato dalla ricerca di due aziende italiane (Torcitura Padana e Gruppo Zanolo), Coex è biodegradabile e potenzialmente compostabile, consente di realizzare tessuti che si caratterizzano per il confort e la morbidezza, ma soprattutto la fibra è completamente ignifuga e va a porsi nella lacuna lasciata sul mercato dall’amianto, non più utilizzabile.

Bambù,fibra artificiale di origine vegetale, fibra cellulosica

La pianta del bambù è la maggiore, come dimensioni, tra le piante erbacee. Esistono più di 75 generi e 1500 specie, di cui il 65% originarie dell'Asia sudorientale. Questa pianta ha una molteplicità di utilizzi e le popolazioni dei Paesi di origine impiegano il bambù per tantissimi usi*. Come la plastica, può essere impiegato per costruire oggetti vari, ma in più si può utilizzare per costruire mobili e praticamente ogni parte delle abitazioni: pavimenti, pareti, tetti, colonne portanti… La sua coltura giova al pianeta comportando assorbimento di COe produzione di O2.,contribuendo così a diminuire l'effetto serra. A differenza della plastica non dipende dall'estrazione del petrolio. Frammenti e altri scarti della lavorazione del bambù possono essere impiegati come combustibile. Il costo del bambù è talmente basso che molto spesso il prezzo dei fili metallici e dei chiodi impiegati per unire i tronchi, supera il costo del bambù richiesto per costruire una media capanna (complessivamente il totale del filo di metallo e chiodi necessari per costruire una capanna, ha un costo che nei paesi sub-tropicali asiatici si aggira attorno ai 20 dollari). Per la coltivazione del bambù non si usano pesticidi né erbicidi. I fertilizzanti sono poco richiesti, anche perché spesso la crescita spontanea delle piante di bambù avviene nei pressi di acquitrini e corsi d'acqua, dove ricevono naturalmente un buon apporto di concime naturale.Si hanno dei grandi vantaggi energetici ed economici per il basso consumo di energia nella trasformazione del materiale, che non deve essere tagliato (se non alle sue estremità), molto leggero da trasportare, non deve essere dipinto né profilato, ma spesso soltanto sagomato (con il vapore per dargli forma sotto tensione). 
Il vantaggio principale del bambù è quello della rapida crescita, che per alcune specie, in alcune regioni del mondo, in fasi molto piovose dell'anno, arriva a più di un metro di allungamento al giorno. 
La fama della fibra di bambù è giunta, quindi, anche alle aziende del settore tessile ed èchiamato l’eco-fibra del 21esimo secolo. Vieneimpiegato per tipi diversi di tessuti, in particolare per la sua capacità elevatissima di assorbire umidità si realizzano biancheria da bagno, biancheria intima, costumi da bagno, e abiti grazie alla molteplicità di micro-cuscinetti d’aria, perché favorisce la traspirazione ed evita il proliferare dei batteri. Altro uso è per produrre tessuti per la casa, ma anche materassi, cuscini e guanciali che risultano più morbidi e adattabili alle linee naturali del corpo. Gli oggetti così prodotti non solo scongiurano il deposito di acari e batteri, ma emanano ioni negativi che mitigano l’inquinamento provocato dagli impianti elettrici di casa e assorbono le onde elettromagnetiche che si sviluppano nella camera da letto. La fibra di bambù fa bene alla pelle e all’ambiente: i tessuti ricavati dalla fibra di bambù sono infatti più resistenti del cotone, possiedono proprietà anti-microbiche, sono igroscopici e contribuiscono a mantenere la temperatura corporea ad un giusto livello. Inoltre si può tingere in qualsiasi colore ed è totalmente biodegradabile. 
Non richiede il reimpianto dopo la raccolta perché produce continuamente nuovi germogli. Lascia poco penetrare i raggi ultravioletti oltre 200/400 nm (1nm= 10−9 metri =un miliardesimo di metro) che sono i raggi più dannosi per l’uomo.Anche se esiste unprocesso che vede la frantumazione delle parti dure della pianta di bambù con l'impiego di enzimi naturali, in realtà questa tecnica ha un'applicazione piuttosto limitata in quanto i costi sono elevati.Più facilmente i capi derivati da fibre di bambù derivano da paste di cellulosa per la cui realizzazione sono state utilizzate sostanze chimiche, le cui tracce vengono trattenute dal tessuto. La stessa cosa accade peraltro per tutti gli altri "tessuti artificiali" derivati da pasta di cellulosa: Viscosa (da legni teneri), Modal e Micromodal (da scarti di legno duro). Sono questi processi di trasformazione quelli che risultano essere i più inquinanti.

*«La pianta di bambù è l'oro verde dell'uomo povero: una persona può sedersi in una casa di bambù sotto un tetto di bambù, su una sedia a un tavolo fatti dello stesso bambù, con un cappello di bambù sulla sua testa e sandali di bambù ai piedi. Allo stesso tempo può tenere in una mano una ciotola di bambù, nell'altra bacchette di bambù che gli servono per mangiare germogli di bambù. Dopo aver consumato il suo pranzo, cucinato in un fuoco alimentato dalla combustione del bambù, il tavolo potrebbe essere pulito con un panno di fibre di bambù, può rinfrescarsi con un ventaglio in bambù, fare la siesta in un letto su di un materasso e un cuscino fatti tutti di bambù. Al risveglio potrebbe fumare in una pipa di bambù e scrivere con una penna di bambù su carta da bambù e poi portare in giornale i suoi articoli in cesti di bambù sospesi su di un'asta di bambù, con un ombrello di bambù sulla sua testa. Potrebbe attraversare un ponte sospeso costruito esclusivamente col bambù, bere acqua da una tubatura in bambù, e asciugarsi il viso con un fazzoletto, ottenuto con le fibre di bambù»
(Atal Bihari Vajpayee, ex primo-ministro dell'India, morto nel 2018}

Lyocell, fibra artificiale di origine vegetale, fibra cellulosica

L'eucalipto (Eucalyptus) è una pianta sempreverde originaria dell'Oceaniaappartenente alla famiglia delle Mirtacee,che in condizioni favorevoli può raggiungere i 90 metri di altezza; cresce molto velocemente e non necessita di particolari cure. Tutti noi conosciamo le caratteristiche balsamiche, pochi invece sanno che da questa pianta si può ricavare una fibra. In particolare la fibra “Tencel®Lyocell Eucalyptus” si ottiene riducendo in poltiglia il legno di eucalipto, viene trafilata attraverso appositi ugelli per ottenere un filato sottile e leggero. Sebbene la fibra di eucalipto sia una fibra artificiale, nella sua produzione non vengono utilizzati solventi tossici e risulta così completamente biodegradabile. Di fatto è una viscosa prodotta a ciclo chiuso dove i prodotti utilizzati vengono recuperati e riutilizzati. La fibra di eucalipto è setosa, traspirante, delicata sulla pelle, igienica, antibatterica, capace di assorbire l'umidità in eccesso, leggera e confortevole, termoresistente, durevole e di facile manutenzione, estremamente forte. Poiché è fatta con il legno di eucalipto, la fibra impedisce la formazione di batteri. Assorbe l'umidità ed ha elevata capacità di assorbimento del colore. Di facile manutenzione, non si stropiccia e asciuga rapidamente. 
Secondo l'azienda austriaca produttrice, ci vuole solo mezzo acro di alberi per una tonnellata di fibra Tencel. Il cotone ha bisogno di almeno 5 volte tanto di terreno di buona qualità.
Per quanto riguarda l'acqua, gli alberi di eucalipto non hanno bisogno d’irrigazione, ma l'attività industriale ha bisogno di acqua per trasformare la polpa in fibra Tencel. 
Come la maggior parte delle fibre artificiali, Tencel richiede più energia rispetto a quella necessaria alla produzione di fibre naturali. Tuttavia, l'azienda produttrice utilizza principalmente biocarburanti a basso tenore di carbonio e solo 14 % di combustibili fossili per mantenere le emissioni di anidride carbonica più bassi. Nel 2000 l'Unione Europea ha premiato il processo di lavorazione del Lyocel con l'Environmetal Award nella categoria "tecnologia per lo sviluppo sostenibile".
Tencel è prodotto in Austria, Regno Unito, e gli Stati Uniti, ma i produttori importano l'eucalipto dal Sud Africa. Mentre le piante possono crescere senza sostanze chimiche, la loro trasformazione in fibre tessili di solito richiede alcune sostanze chimiche nocive. Il Tencel utilizza per il processo produttivo detto "anello chiuso" un solvente non tossico Nmetilmorfolina-N-ossido. Gli alberi destinati alla produzione di Lyocell vengono tagliati e trasportati al mulino. Lì vengono tagliati e scortecciati da getti d'acqua ad alta pressione. Successivamente vengono inseriti in una cippatrice, una macchina che li sminuzza in quadrati poco più grandi di francobolli.  Vanno messi in una vasca di digestori chimici che li ammorbidiscono trasformandoli in una polpa bagnata. Questa polpa va lavata con acqua, e dopo può essere sbiancata. Si asciugano in fogli grandi e si arrotolano in bobine. Il rotolo di cellulosa è enorme, alcuni pesano più di 220 kg. Al mulino Lyocell, lavoratori srotolano le bobine di cellulosa e le rompono in quadrati che poi vanno messi in contenitori riscaldati e pressurizzati, pieni di ossido di ammina. Dopo un breve tempo di immersione nel solvente, la cellulosa si dissolve in una soluzione limpida. Per assicurarsi della completa dissolvenza si filtra e poi la soluzione va filata attraverso filiere. Simile al soffione, la filiera è dotata di piccoli fori, e quando la cellulosa viene forzata attraverso di essa, escono lunghi filamenti di fibra. Le fibre sono quindi immerse in un'altra soluzione di ossido di ammina, diluita questa volta. Poi vengono lavate con acqua demineralizzata. La fibra lyocell passa in una zona di asciugatura. Successivamente va applicato un lubrificante. Questo può essere un sapone o silicone o altro agente, a seconda del futuro utilizzo della fibra. Questo passo è fondamentale per facilitare le fasi successive. Una volta asciugate, le fibre vanno pettinate per separare i fili. L'intero processo produttivo, dallo srotolamento grezzo della cellulosa alla pressatura di fibre, dura solo circa due ore. Dopo questo, le fibre possono essere trattate in vari modi. Il 99% dell'ossido di ammina utilizzato per sciogliere la cellulosa e impostare la fibra dopo la filatura, viene recuperato e riutilizzato nel processo di fabbricazione.


Lanital, fibra artificiale di origine animale, fibra proteica

Con il nome di Lanital, tra il 1937 e la fine della seconda guerra mondiale, in Italia venne creata e commercializzata una fibra autarchica tratta dalla caseina, la proteina del latte.
L'industrializzazione era opera della SNIA Viscosa, che dava applicazione a una scoperta del 1935fatta dall'italiano Antonio Ferretti. In piena epoca di sanzioni economiche, dopo la guerra d'Etiopia, il regime fascista diede grande risonanza al prodotto con un'opera di propaganda sull'autosufficienza dell'Italia.Vista come un simbolo anche dal movimento Futurista, Marinetti arrivò a scrivere e a pubblicare i versi «Poesia di un vestito di latte» (*) e a dedicarne altri alla celebrazione della Snia: «Il poema di Torre Viscosa» con dedica a Mussolini.Nel frattempo, negli Stati Uniti, la Atlantic Research Associates Inc. produsse una fibra simile.
La Lanital viene classificata come una fibra proteica ed ha una struttura molecolare molto simile alla lana, per cui è un cattivo conduttore di calore e vanta morbidezza e buona mano tessile.
La caseina si ottiene facendo coagulare il latte scremato e scolandone via il siero. La sostanza pastosa rimasta viene sottoposta a bagni chimici solventi, di filatura e di fissaggio, e poi filata attraverso filiere di platino. Si ottiene così una fibra leggera, fioccosa simile a quella della lana persino per la reazione alla fiamma.  Si può usare per abiti, maglierie e tessuti misti d’ogni specie. 
Nel dopoguerra la SNIA tentò di migliorare il prodotto e di rilanciarlo con il nome commerciale di Merinova, ma nel frattempo lo sviluppo delle fibre chimiche, in primo luogo dell'acrilico, fece uscire dal mercato le fibre caseiniche. Negli anni 2000, invece, questo materiale è stato riscoperto soprattutto per le sue qualità anallergiche e per l’alto potere batteriostatico (99,9%) e utilizzato per la fabbricazione di prodotti per primissima infanzia o per chi ha forme di intolleranza per la lana e per le fibre sintetiche. Indumenti e filati per aguglieria in "fibra di latte" (normalmente in mescola con lana merino o lana merino e cashmere) sono attualmente prodotti con successo da aziende di nicchia e occupano una fascia alta del mercato.
 Il processo di estrazione della fibra dalla caseina è stato ottimizzato: oggi il latte viene disidratato e scremato, ammorbidito e poi lavorato con moderne tecniche di bio-ingegneria in modo da produrre la cosiddetta seta di latte da cui si ottiene il filato vero e proprio.
È una fibra altamente ecologica, per la cui produzione si utilizzano grassi di scarto della lavorazione del latte, riducendo in tal modo drasticamente tanto le emissioni di anidride carbonica, quanto l’uso di combustibili fossili. Il risultato è una fibra comoda, morbida, rinfrescante, ecologica e salutare per la pelle, molto traspirante e capace di assorbire benissimo l’umidità. 
Possiede un altissimo potere batteriostatico (superiore al 99,9%), è poco attaccabile dalle tarme ed è biodegradabile. È tuttavia poco resistente all'usura e rispetto alla lana, che è ricca di cuscinetti d’aria, risulta “piena” e per questo  più pesante.
La fibra di latte ha ottenuto la certificazione internazionale Oeko-Tex standard 100 per prodotti tessili ecologici.

*”E voi forze liquide comprendo la vostra ansia non immalinconitevi otterrete certo il prodigio ecco allineati i filtri di bambagia di cotone e tu latte magro coàgulati e per questo caccia via a destra e a sinistra questi eserciti di calorie pensa bevi la grande idea essenziale dare al nastro di caseina una consistenza tale che si possa tagliare umido...Tutti a ridere di gioia partecipando all'ebrezza di un filo di caseina barcolla per la sganasciante ilarità nel mutarsi in nastro poi strilla sono un latte che ritorna beatamente alla sua pura mammella bobina bobina mia mia. 
T'impongo o sacro latte di stringere le maglie d'una viscosità re-si-sten-te… 
Servilità belante e odorosa dei grani che maturati sognano le grazie tue o Latte. 
Arrenditi non rimandare lo spasimo t'invochiamo sei il bellissimo nastro dei nastri resistente veloce panorama tattile dei più celestiali pascoli alpini ti chiamerò Cielo-manuale Muscolodelvento Strizzamipure Tessutomaterno ma tu sciorina in giro vestiti d'inventata carnalità inguainami di serena bontà “(Marinetti).





Soia, fibra artificiale di origine vegetale, fibra proteica 

La soia o soja, Glycine max, è una pianta erbacea della famiglia delle Leguminose.
La fibra è ecologica perché si estrae dagli scarti di lavorazione dell’industria alimentare della soia e in particolare dai bacelli. Il tessuto è talmente biodegradabile che il vestito in soia che volete eliminare si potrebbe buttare direttamente nella compostiera. I tessuti in fibra di soia sono estremamente soffici e brillanti, piacevoli al tatto, tanto da essere talvolta descritti come il ‘Cashmere Vegetale‘. 
In effetti sono molto più facili da gestire rispetto al cashmere, ed hanno anche un pochino di naturale elasticità. Eccellenti qualità di assorbimento del sudore rendono la fibra antibatterica e confortevole anche durante le stagioni calde. 
Come il bambù, la soia è dotata di proprietà antibatteriche, è poco infiammabile, traspirante, permeabile all’aria, solida al colore e in grado di bloccare le radiazioni UV. La resistenza alla rottura della fibra di soia è circa tre volte superiore a quella della lana, mentre è solo leggermente minore la sua capacità di trattenere il calore. Il Cashmere Vegetale può sostituire egregiamente altre fibre o combinarsi ad esse nella tessitura (per esempio lana, seta naturale, lino e cotone).  Molto facile da trattare, ha la capacità di assorbire meglio e più rapidamente le tinte, tanto da poter fare risparmiare nell’uso di coloranti durante il processo industriale di colorazione. La biodegradabilità, con un impatto ambientale minimo o nullo, è un grande punto a favore rispetto ad altri tessuti di origine plastica come il poliestere, che hanno la loro origine nella lavorazione del petrolio e derivati. 
Il processo di estrazione della soia è chimicamente complesso, per certi versi simile a quello da cui si ricava il rayon. Vero è che si tratta di un metodo ‘a circuito chiuso’, in cui le sostanze chimiche possono essere riutilizzate più e più volte, ma la speranza è che in futuro si metteranno a punto metodi di lavorazione meno dannosi per l’ambiente.
Per questo motivo il lanificio Reda di Biella ha deciso di lanciare sul mercato, dopo un anno di lavoro, una collezione di tessuti in misto lana e soia. Il prezzo è in linea con gli altri prodotti.
Ma in realtà non si tratta di niente di nuovo sotto il sole, perché la fibra di soia l’ha inventata nel 1999 un uomo d’affari di Shanghai, Li Guanqi, che ha avuto l’intuizione di riconoscere il potenziale insito negli eco-tessuti utilizzando per primo i sottoprodotti della soia per produrre biancheria intima. Oggi sono migliaia i cinesi che indossano biancheria soffice e setosa, filata con la fibra di soia di Li Guanqi.
La Cina è già il maggiore produttore ed esportatore mondiale di tessuti e mira al crescente interesse dei consumatori dei paesi occidentali verso i prodotti naturali, dal cibo ai cosmetici. La soia è attualmente coltivata in buona parte nelle sue varianti geneticamente modificate e il processo di estrazione di un filato dalla soia è industrialmente più complesso in termini energetici della filatura delle fibre naturali. Tuttavia sono in molti a scommettere sulle potenzialità di questa fibra e il tessuto è da tempo sbarcato sui mercati europei e statunitensi.
Nel frattempo nel mondo è rinata una coscienza ecologica o comunque ”l’utenza gradisce” tanto che diversi stilisti hanno già abbracciato la moda degli abiti organici. Un esempio è Giorgio Armani che tempo fa lanciò una collezione Armani Jeans ecologica, che oggi rappresenta il 15% della sua produzione mondiale. Persino H&M introduce ogni anno nelle proprie collezioni circa dieci nuovi capi in cotone biologico.



Fibre Sintetiche

Nel 1936 l’americano Carothers partendo da azoto, ossigeno dell’aria, idrogeno dell’acqua e fenolo ottenuto dalla distillazione di catrame di carbon fossile, creò la prima fibra sintetica, il nylon. Le fibre sintetiche, entrate in uso negli anni ‘50, sono il nylon, il poliestere, le acriliche, l’elastan… Del tutto sganciate dal mondo biologico, generalmente sono ottenute dai derivati del petrolio.Si ottengono con due processi fondamentali per la produzione di una macromolecola: polimerizzazione con fusione da migliaia a miliardi di più molecole semplici (monomeri), a condizione che gli atomi di C di partenza contengano legami insaturi, o policodensazione in cui tra i monomeri avviene una vera reazione chimica generalmente con eliminazione di acqua. La struttura della macromolecola detta le proprietà. Se è sviluppata in forma lineare si fonderà ad alta temperatura e sarà solubile nei comuni solventi organici, se avrà struttura a rete sarà infusibile e insolubile. Molti pneumatici sono fatti di un’unica macromolecola di polimero reticolato. Queste innovazioni hanno determinato uno dei cambiamenti più importanti del nostro stile di vita e data la grande progettabilità, la ricerca si è concentrata su esse e per gli studi relativi alcuni ricercatori sono stati insigniti del premio Nobel.
Queste fibre sono le più elastiche in assoluto, morbide e leggere, cattive conduttrici di calore, inattaccabili dalle tarme, non infiammabili, non deteriorabili, per questo i capi non si stropicciano, sono molto resistenti e termoisolanti, sono ingualcibili (se non a temperatura maggiore di 100°), non si restringono durante il lavaggio, si asciugano in fretta e non hanno bisogno di stiratura. Purtroppo tali fibre non sono igroscopiche e sono poco porose, così non assorbono il sudore e il corpo non traspira con conseguente sensazione di soffocamento. Altro problema è l’elettrostaticità
Negli anni’80 con l’affinamento dei titoli sono nate le microfibre con performance rivoluzionarie. 
Al microscopio non è possibile avere un riconoscimento comune per le derivazioni differenti. Alla fiamma alcune fondono con residuo carbonioso, altre, come lo stesso nylon, fondono senza residui.
Il diametro del filo si esprime in denari. Nelle calze da donna a un basso numero di denaricorrisponde in genere una calza molto trasparente (velata), a un'alta danaratura un effetto coprente.Importante il numero di bave: un filo monobava è quello usato per le lenze da pesca.
Parallelamente alla produzione di fibre, e partendo spesso dagli stessi polimeri, si sono ottenuti dei materiali non fibrosi, amorfi che si prestano a essere stampati a caldo e che vengono detti materie plastiche. Le prime di sintesi furono bakelite, plexiglass e polivinili.  Spesso troviamo gli stessi nomi per materiali per tessuti e oggetti d’uso.Sono fibre sintetiche: Poliammidiche (Nylon), Poliesteri (es. pile, tessuto non tessuto), Poliacriliche (Leacril), Poliviniliche (PVC), PolipropilenichePolietilenichePoliuretano (Elastam o Lycra), Tetrafluoretileniche (Teflon, GoretexAramidiche (Kevlar Nomex), ultime le fibre di Carbonio inizialmente ideate per gli astronauti, oggi molto diffuse sul mercato (anche in chirurgia)… Le resine sintetiche, nome generico che comprende sia le fibre che le materie plastiche, non sono biodegradabilie, nuove al mondo biologico, possono provocare allergie. Pensiamo all’inquinamento del mare da materie plastiche. 
Ma il campo è in continua espansione.Il sopracitato Nomexè una sostanza registrata da DuPont, un nylon aromatico resistente alle fiamme. Le tute dei piloti automobilistici sono in Nomex o in Coex, biopolimero.
In Italia le principali imprese produttrici di tecnofibre furono Châtillon RhodiatoceMontefibreBemberg Snia Viscosa, tutte dovettero soccombere alla globalizzazione. 
Attualmente  RadiciGroup ed Aquafil Spa producono il maggior quantitativo nazionale di nylon 6 e nylon 6,6 nei loro stabilimenti in Italia. Dal 1969 Aquafil è uno dei principali attori, in Italia e nel mondo, nella produzione di fibre sintetiche. È un punto di riferimento per qualità, innovazione e nuovi modelli di sviluppo sostenibile.  La società trentina della famiglia Bonazzi è presente in tre continenti tramite due aree di prodotto principali: i fili sintetici per pavimentazione tessile di immobili e veicoli e i fili sintetici per l'abbigliamento e lo sport. I suoi prodotti vengono creati dai rifiuti raccolti in tutto il mondo. Oggi il 30% dei suoi ricavi arrivano proprio da Econyl, nylon 100% rigenerato da rifiuti tessili provenienti da discariche o dai fondali marini, come tappeti a fine vita e altri materiali di scarto, e reti da pesca e plastica. RadiciGroup, principale sponsor dell’Atalanta, è una delle realtà chimiche italiane più attive a livello internazionale. Le origini risalgono al 1941, quando Pietro Radici fondò vicino a Bergamo, la prima industria tessile. La ditta ha il controllo della sua catena produttiva: dagli intermedi chimici ai filati sintetici. I prodotti sono esportati in tutto il mondo e utilizzati nei settori dell’abbigliamento, dello sport, dell’arredamento, dell’automobile, nei settori elettrico ed elettronico e degli elettrodomestici.



Materiali da conoscere
A ogni materiale è associato un numero, che possiamo trovare sul fondo del contenitore, di solito al centro del simbolo triangolare del riciclo. Le plastiche più adatte alla conservazione di cibi sono quelle contrassegnate dai numeri 1, 2, 4 e 5, mentre quelle con i numeri 3, 6 e 7 sarebbero da usare con più attenzione, così come quelli senza numero, che corrispondono alla tipologia numero 7. Ecco una lista ordinata in base alla numerazione appena descritta. 

PET (1) Con il PET (polietilene tereftalato, numero 1) vengono realizzate bottiglie e recipienti trasparenti per acqua, bibite e cibi. Resistente agli acidi anche se concentrati. Questo tipo di plastica per alimenti è sicura se impiegata per contenere prodotti freddi. Il calore, infatti, ne favorisce la degradazione, che può rilasciare sostanze nocive come l’antimonio e l’acetaldeide. Questi contenitori sono concepiti per essere essenzialmente monouso, quindi, non dovrebbero essere riutilizzati, e comunque non a lungo.
PE(2)(polietilene ad alta densità o HDPE, numero 2) è una plastica per alimenti sicura e resistente, impiegata per oggetti non trasparenti come i tappi, i vasetti dello yogurt, i contenitori per il latte e anche per i detersivi. Serve anche per produrre giubbotti antiproiettile. Resiste abbastanza bene ai cibi caldi ed è sempre preferibile rispetto al PET.
PVC (3) (polivinile o V, numero 3) è potenzialmente pericoloso, perché rilascia ftalati. Se bruciato libera diossina, anche per questo si sta cercando di sostituirlo con altri materiali. Per la sua resistenza, in genere si utilizza per realizzare insegne pubblicitarie, striscioni e rivestimenti da esterno. Può essere presente anche nelle pellicole trasparenti per avvolgere i cibi, anche se la sua presenza nei materiali per alimenti è sempre più rara. Da preferire le pellicole con le diciture “Senza PVC”, “PVC free” o “Non contiene ftalati”.
LDPE (4) (polietilene a bassa densità, numero 4) viene utilizzata per fabbricare sacchetti per congelaree guanti monouso, come quelli per maneggiare le verdure nei supermercati. 
Questo materiale non va impiegato ad alte temperature e non dovrebbe essere riutilizzato a lungo.
PP (5) (polipropilene, numero 5) è una plastica per alimenti considerata sicura. Si utilizza per le bottiglie non trasparenti e per le vaschette con coperchio, sia quelle più robuste e durevoli sia quelle più economiche come quelle per il gelato. Insolubile in tutti i solventi organici. Per riutilizzare questi recipienti è bene seguire le indicazioni del produttore, anche se in genere gli oggetti più leggeri ed economici sono da intendersi come monouso.
PS (6) (polistirolo o polistirene, numero 6), ottimo isolante termico, è impiegato soprattutto per i recipienti da asporto. Contiene stirene, un idrocarburo aromatico che può interferire sul sistema endocrino. La nocività del polistirolo non è unanimemente riconosciuta, in quanto non è certo se le sostanze nocive siano rilasciate dal materiale. Ciò fa del PS una plastica per alimenti non del tutto sicura.
OTHER, O (7) Con la “O” e il numero 7 sono contrassegnate le plastiche potenzialmente più pericolose(policarbonato, resine epossidiche e melammina), che possono rilasciare sostanze nocive come il bisfenolo A e la formaldeide. Questi materiali sono utilizzati per produrre stoviglie, bicchieri, piatti e recipienti rigidi antiurto. Questi oggetti non devono mai essere scaldati o entrare a contatto con cibi molto caldi. La resina epossidica è impiegata nei rivestimenti interni delle lattine e delle scatolette, per isolare il metallo dal cibo contenuto. La Francia e il Canada hanno vietato l’utilizzo di oggetti nei quali sono presenti questi materiali. L’Unione Europea, dal 2011, ha proibito l’uso di queste plastiche per la produzione dei biberon.
Plastica per alimenti e sostanze da evitare
La principale criticità è dovuta alla possibile migrazione nei cibi, aspetto che può essere favorito soprattutto dalle temperature elevate e dalla presenza di grassi negli alimenti. Sono interferenti endocrini, ovvero in grado di mimare la funzione degli ormoni, influenzando negativamente l’equilibrio ormonale dell’organismo. Bastano livelli di contaminazione degli alimenti molto ridotti per causare danni rilevanti. L’esposizione del feto nel periodo prenatale sembra essere la più pericolosa, correlata a problemi di infertilità. Inoltre, ci sono interrogativi sullo sviluppo di tumori e patologie neurologiche.
Effetto cocktail ed esposizione a vita Da considerare con attenzione è l’alto numero dei componenti potenzialmente dannosi – che può favorire un pericoloso “effetto cocktail” – e la durata dell’esposizione alla quale siamo soggetti. Come ha riconosciuto l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), a oggi gli effetti di questi composti non sono del tutto chiari, e sono necessarie analisi più evolute e dettagliate. Per questi motivi, la plastica per alimenti non può essere considerata totalmente sicura. Gli ftalati, ad esempio, erano presenti nei biberon e in tutte le plastiche ammorbidite, che li rilasciavano soprattutto nei primi utilizzi. Quindi, se il biberon veniva messo in acqua calda per alcune volte prima di essere usato, in seguito il rilascio di questi componenti calava sensibilmente.
Mai coi cibi caldi Nel caso dell’utilizzo di bicchieri o stoviglie di plastica con cibi o liquidi caldi, però, il problema rimane. I bicchieri sono marchiati secondo la temperatura che possono sopportare, ma spesso si usano oggetti non idonei alle alte temperature. Anche la carta, che è comunque trattata, non è esente da questo problema. Sconsigliati gli usa e getta per le bevande calde. Quando si può, è sempre meglio utilizzare il vetro o la ceramica. Non è escluso che la plastica per alimenti oggi ritenuta sicura, un domani si possa rivelare nociva. Da considerare, inoltre, le ricadute relative all’inquinamento dovute a un grande impiego questi materiali.
 Bisfenolo A (BPA) Presente in molte plastiche del gruppo 7, è un indurente utilizzato da decenni, considerato fra gli interferenti endocrini più pericolosi. Può interferire sullo sviluppo sessuale maschile, oltre a favorire aritmie cardiache, alterazioni del sistema nervoso, danni renali e tumori. È contenuto in prodotti anche molto diversi tra loro, fra questi i contenitori trasparenti e rigidi in policarbonato, le resine che rivestono l’interno delle lattine dei cibi conservati, ma anche la carta degli scontrini e i cosmetici. A seguito dei provvedimenti sopra citati, fortunatamente, è ormai quasi del tutto assente dai biberon. 
Ftalati e DEHA Gli ftalati sono sostanze usate per ammorbidire le plastiche contenute nel PVC. Sono interferenti endocrini e possono migrare nei cibi, specialmente in quelli più ricchi di grassi. Possono danneggiare anche il fegato e i reni. La maggior parte delle pellicole trasparenti per conservare gli alimenti non contengono più queste sostanze, ora limitate anche nei giocattoli. Il PVC, contiene il DEHA (di-ottil-adipato) che può danneggiare ossa, fegato e reni.
Formaldeide e Melammina La formaldeide, cancerogena e genotossica, può essere contenuta nelle plastiche del gruppo 7, ma anche in prodotti non alimentari come i rivestimenti dei mobili, le vernici e i cosmetici per capelli. La melammina, insieme alla formaldeide, è impiegata per preparare resine utilizzate per le stoviglie e può causare danni renali e alle vie urinarie.
Stirene È un idrocarburo aromatico contenuto nel polistirolo che ha una struttura simile a quella degli estrogeni. Può causare interferenze ormonali.
Plastiche in cucina, che fare? In generale la plastica per alimenti non può essere considerata del tutto sicura.  Per informazioni via via aggiornate  dall’Istituto superiore di Sanità cercare MOCA Materiali e oggetti a contatto con alimenti.  Quando presenti vanno sempre considerate e fanno fede le istruzioni dei produttori.
Non inserire cibi caldi nei recipienti di plastica. Anche nel forno a microonde, è meglio non utilizzare.
Non riutilizzare troppo a lungo bottiglie e contenitori vecchi, graffiati. Per lo stesso motivo, è bene lavare i recipienti con spugne non abrasive.
Preferire sempre le pellicole senza PVC e ftalati, e non utilizzarle a contatto con cibi molto grassi.
Consumare meno cibi in scatola, soprattutto se contenenti liquidi. Quando è possibile, preferire sempre scatolette senza bisfenolo A.
Utilizzare preferibilmente recipienti in vetro o acciaio inox. Per le merende da asporto, come anche per la spesa, invece, può tornare di moda la stoffa, resistente e lavabile. 
La Francia dal 2020 vieterà la produzione, la vendita e la cessione gratuita delle stoviglie monouso di plastica, che i produttori dovranno sostituire con prodotti biodegradabili. Si tratta del primo provvedimento di questo tipo a livello mondiale, che rientra nelle misure nate dopo la conferenza sul clima Cop21 di Parigi, del dicembre 2015. La Francia è all’avanguardia nella lotta contro lo spreco alimentare contro il cibo spazzatura.









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